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Corte costituzionale - sent. 229/2015: procreazione medicalmente assistita e diagnosi genetica preimpianto
21 ottobre 2015

Nell’ambito del giudizio in via incidentale sollevato dal Tribunale di Napoli, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b), e 4 della legge 40 nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto di embrioni affetti da malattie genetiche e ha dichiarato non fondata la questione sollevata in riferimento all’art. 14 della legge.

Numero
229
Anno
2015

Il Tribunale di Napoli, nell’abito di un procedimento penale nel quale erano imputati alcuni medici, rinviati a giudizio per aver creato embrioni per finalità diverse da quelle previste dalla legge. Secondo il giudice a quo, le norme impugnate contrastano con gli articoli 2, 3, 32 e 117, co. 1 (in relazione all’art. 8 Cedu, come interpretato nella sentenza Costa e Pavan c. Italia) della Costituzione, nella parte in cui sanzionano penalmente «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni», senza escludere il caso in cui la condotta del medico «sia finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna degli embrioni affetti da malattie genetiche».

Nel dichiarare fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 40, la Corte richiama la sentenza n. 96/2015, nella quale era stata dichiarata l’illegittimità della legge 40, nella parte in cui non consentiva il ricorso alla PMA alle coppie fertili affette da gravi malattie genetiche, rispondenti ai criteri di gravità individuati dalla legge 194/1978 e accertate da strutture pubbliche.

«Quanto è divenuto così lecito, per effetto della suddetta pronunzia additiva, non può dunque – per il principio di non contraddizione − essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante».

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge 40 viene invece dichiarata non fondata. La decisione sulla rilevanza penale della condotta di «soppressione di embrioni» (pur riferita solamente agli embrioni che risultino affetti da malattie genetiche) è una valutazione che spetta alla discrezionalità del legislatore: «la discrezionalità legislativa circa l’individuazione delle condotte penalmente punibili può essere censurata in sede di giudizio di costituzionalità soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto od arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza».

«Anche con riguardo a detti embrioni […] si prospetta, infatti, l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico».

«Con la citata sentenza n. 151 del 2009, questa Corte ha già, del resto, riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.; e l’ha bensì ritenuta suscettibile di «affievolimento» (al pari della tutela del concepito: sentenza n. 27 del 1975), ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti». Nel caso in esame, la Corte ritiene che la soppressione dell’embrione determinerebbe un vulnus alla sua dignità che non trova giustificazione in nessun altro interesse antagonista.

Il testo della sentenza è disponibile nel box download e a questo link (Consulta Online).

A questo link il dossier "Come è cambiata la legge 40".

Lucia Busatta
Pubblicato il: Mercoledì, 21 Ottobre 2015 - Ultima modifica: Mercoledì, 21 Agosto 2019
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