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Corte costituzionale - sent. 144/2019: amministrazione di sostegno e legge 219/2017
20 marzo 2019

La Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219, recante Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.

Numero
144
Anno
2019

Il giudice tutelare Tribunale di Pavia ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della disposizione citata nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

Secondo il giudice rimettente, tali disposizioni contrasterebbero con l’art. 2 Cost: attribuire all’amministrazione di sostegno il potere di compiere autonomamente tale scelta, senza l’intervento di un soggetto terzo e imparziale quale il giudice, potrebbe non garantire una salvaguardia adeguata al diritto “inviolabile e personalissimo” di rifiutare le cure.

Vi sarebbe, inoltre, un contrasto con l’art. 3 Cost: così com’è richiesta l’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento di alcuni atti attinenti alla sfera patrimoniale personale della persona amministrata (come, per esempio, la separazione coniugale o l’accettazione di eredità), la stessa autorizzazione dovrebbe essere richiesta anche per il rifiuto alle cure, vista l’esigenza di curare la volontà della persona, soprattutto se incapace.  

Simili obiezioni, peraltro, erano state sollevate anche dal Tribunale di Pavia, in un’ordinanza del 24 marzo 2018.

La Corte costituzionale rimarca chiaramente come questi dubbi di incostituzionalità siano frutto di una erronea interpretazione della legge e provvede a chiarire il significato delle disposizioni impugnate.

La legge 219/2017 ha come obiettivo primario l’attuazione del principio del consenso informato nell’ambito nella relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico, nel rispetto del diritto alla salute e all’autodeterminazione del singolo.

L’art. 3 della legge, in particolare, tutela le persone non (pienamente) capaci di agire, come i minori, gli inabilitati o i beneficiari di amministrazione di sostegno, sancendo che, in quest’ultimo caso, l’amministratore di sostegno, con compiti di assistenza e di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, possa esercitare il consenso informato per conto dell’amministrato.

La Corte costituzionale rileva che questa disposizione non disciplina l’istituto dell’amministrazione di sostegno, che rimane ancorato alle norme del codice civile (artt. 404 ss.), ma regola l’ipotesi in cui questa venga disposta dal giudice a favore di una persona sottoposta a trattamenti sanitari.

La Corte sottolinea infatti che le norme censurate non attribuiscono direttamente all’amministratore di sostegno, investito della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il potere di esprimere o meno il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale: è il giudice tutelare, al momento della nomina, a individuare e a circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, secondo le caratteristiche del caso e le esigenze della persona protetta.

In altre parole, le norme censurate si limitano a disciplinare l’ipotesi in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto dal giudice tutelare il potere di rifiutare i trattamenti sanitari di sostegno vitale, ma non prevedono alcuna attribuzione automatica di tale potere in capo a quest’ultimo.

Il testo della sentenza è disponibile nel box download e a questo link .

Alberto Pagliari
Pubblicato il: Mercoledì, 20 Marzo 2019 - Ultima modifica: Mercoledì, 18 Settembre 2019
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