La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile per irrilevanza la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Como relativamente agli artt. 5 e 12 della legge n. 40/2004, con riferimento all’art. 32 Cost. e all’art. 117, comma primo, alla luce dei parametri interposti di cui agli artt. 8 e 14 CEDU, all’art. 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, agli artt. 2, 3 e 9 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.
Corte costituzionale – sentenza n. 155/2025 - Genitorialità delle persone transgender e preservazione della fertilità
23 ottobre 2025
Le parti avevano avevano intrapreso una relazione affettiva nel 2012. Nel 2014, la convenuta aveva instaurato un’azione per la rettificazione di attribuzione del sesso anagrafico, da maschile a femminile. Nel 2018 nasceva la figlia della coppia, concepita mediante ricorso alla procreazione medicalmente assistita con i gameti maschili del genitore, crioconservati anteriormente all’affermazione del genere femminile. Tuttavia, l’atto di nascita veniva formato con esclusivo riferimento alla madre, a causa del rifiuto dell’ufficiale di stato civile di riconoscere la paternità al genitore biologico, a causa del mutamento del sesso anagrafico avvenuto nel frattempo.
Su questi presupposti, la madre promuoveva l’azione di riconoscimento giudiziale della maternità ex art. 269 cod. civ. avanti al Tribunale di Como. In tale ambito, il Giudice a quo dubitava della legittimità degli artt. 5 e 12 della legge n. 40/2004, nella parte in cui limita “l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole coppie di sesso diverso”, determinando implicitamente “l’impossibilità del riconoscimento da parte del genitore biologico che abbia mutato sesso […] ai sensi dell’art. 250 cod. civ.”.
La Corte costituzionale, tuttavia, ha rilevato che “l’assetto normativo codicistico rappresentato dagli artt. 250 e 269 cod. civ. pone come presupposto (necessario e sufficiente) per l’accoglimento dell’istanza di dichiarazione giudiziale di paternità l’accertamento del legame biologico tra genitore e figlio”. È perciò “erroneo” il rilievo del giudice a quo, secondo cui la legge n. 40/2004 sarebbe in qualche modo d’ostacolo al riconoscimento della genitorialità in capo “al soggetto che, nell’ambito di una fecondazione omologa, ha fornito il proprio contributo maschile alla procreazione ed è poi divenuto donna”. Peraltro, sottolinea la Corte, “rispetto alla sussistenza del legame biologico tra genitore e figlio (rappresentato, nel caso in esame, dall’aver fornito i gameti maschili) non incide la vicenda del (successivo) mutamento di sesso di colui che ha dato il proprio apporto alla procreazione”.
La questione di legittimità costituzionale articolata nei confronti della legge n. 40/2004 è perciò inammissibile, per irrilevanza, posto che la normativa censurata si limita a disciplinare la diversa questione relativa all’accesso “alle tecniche di PMA”.
Il testo completo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download.
A questo link il nostro dossier sulla legge 40.
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