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Corte costituzionale – sent. 15/2023: legittimità dell’obbligo vaccinale, sospensione dall’attività lavorativa e dalla retribuzione per i lavoratori non vaccinati
9 febbraio 2023

La Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali ordinari di Brescia, Catania, Padova, e dal TAR Lombardia, in riferimento all’introduzione dell’obbligo vaccinale per i professionisti esercenti prestazioni sanitarie, e la relativa sospensione dalla corresponsione della retribuzione e dall’assegno alimentare in caso di inadempimento di tale obbligo.

Numero
15
Anno
2023

Le questioni sollevate dinnanzi alla Corte costituzionale sono le seguenti:

- illegittimità degli artt. 4-bis, co. 1, e 4, co. 1, 4, e 5, del d.l. 44/2021, in riferimento agli artt. 3, 4, 32, e 35 Cost., nella parte in cui prevedono, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, l’imposizione dell’obbligo vaccinale, ma non la facoltà di sottoporsi alternativamente a un test molecolare, antigenico, o test rapido;

- illegittimità degli artt. 4, co. 7, e 4-ter, co. 2, del d.l. 44/2021, in riferimento agli artt. 3, 4, 32, e 35 Cost., nella parte in cui stabiliscono, in favore dei soggetti per i quali la vaccinazione è omessa o differita per motivi medici, la possibilità di essere assegnati a mansioni diverse da quella svolta, senza la sospensione dall’esercizio dell’attività lavorativa e l’interruzione della retribuzione, e non prevedono l’applicazione della stessa disciplina per i lavoratori non vaccinati per decisione individuale;

- illegittimità degli artt. 4, co. 5, e 4-ter, co.3, del d.l. 44/2021, in riferimento agli artt. 2, 3, e 32 Cost., nella parte in cui, nel periodo di sospensione dal lavoro del personale non vaccinato, escludono l’erogazione di ogni “compenso o emolumento2, tra cui l’assegno alimentare che è generalmente elargito per esigenze sociali a favore del lavoratore che temporaneamente non può svolgere l’attività lavorativa.

 

Per quanto concerne la prima questione, il giudice a quo rileva l’illegittimità dell’obbligo vaccinale in quanto non conforme a uno dei presupposti necessari che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha più volte richiamato, cioè la necessità che “il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri” (par. 10.2). A detta del rimettente, infatti, dato che il vaccino non impedisce con certezza assoluta di contrarre o trasmettere il virus, sembra dare maggiori garanzie l’esecuzione di un tampone che accerti l’effettiva non contagiosità di un soggetto. 

Giacché il contenuto dell’art. 32 Cost., in combinato disposto con l’art. 2 Cost., consiste nel bilanciamento tra la salute individuale e quella collettiva, il giudice delle leggi rammenta che “nella giurisprudenza costituzionale l’affermazione per cui il sindacato sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore di incidere sul diritto fondamentale alla salute, anche sotto il profilo della libertà di autodeterminazione, va effettuato alla luce della concreta situazione sanitaria ed epidemiologica in atto”, e sulla base “dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati” (par. 10.3.2).

Nel caso di specie le decisioni assunte dal legislatore sono coerenti con i dati forniti dall’AIFA, dall’ISS, e dall’EMA, che confermano l’efficacia dei vaccini, i quali hanno contribuito al contenimento della diffusione del virus e la prevenzione di casi gravi. La scelta di imporre l’obbligatorietà del vaccino per le categorie in oggetto risulta altresì ragionevole e proporzionale rispetto al fine perseguito, vista l’urgenza di tutelare gli ospiti delle strutture sanitarie e garantire la continuità nell’erogazione di un servizio pubblico essenziale. Inoltre,  l’utilizzo dei soli tamponi, oltre a essere un consistente gravame a carico del SSN, non sarebbe stato sufficiente a ridurre la velocità di contagio. Per tutti questi motivi la questione non è fondata in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost.

La Corte non accoglie la questione nemmeno in riferimento agli artt. 4 e 35 Cost., difatti il diritto al lavoro enucleato da tali parametri costituzionali non ha come contenuto il diritto assoluto di svolgere una attività lavorativa. Invero, il legislatore ha la facoltà di limitare tale diritto qualora l’attività in oggetto sia in contrasto con l’esigenza di tutelare la salute e la sicurezza pubbliche, seppure nel rispetto dei principi di ragionevolezza ed eguaglianza, i quali, come accertato dalla Corte, nel caso di specie sono stati osservati.

Per quanto riguarda la seconda questione, i rimettenti sostengono che vi sia una doppia discriminazione: in primo luogo tra i lavoratori che scelgono di non vaccinarsi e i lavoratori non vaccinati per motivi medici, dato che solo ai secondi è garantita la corresponsione della retribuzione a fronte della sospensione dell’attività lavorativa; in secondo luogo tra i professionisti esercenti attività sanitarie e il personale educativo e scolastico delle scuole, dal momento che, mentre per il personale sanitario è prescritta la sospensione immediata dell’attività lavorativa, per il personale educativo si prevede l’onere, in capo al dirigente scolastico, di affidare al lavoratore non vaccinato una mansione diversa e che comporti minori contatti interpersonali possibili.

La Corte, tuttavia, asserisce che non si è in presenza di una disparità di trattamento ingiustificata, in quanto la diversa disciplina in capo agli esercenti attività sanitarie è motivata, da un lato, in ragione della necessità di tutelare gli ospiti delle strutture sanitarie, e dall’atro in quanto la decisione di non vaccinarsi rimane una libera scelta dell’individuo. Come conseguenza di questa scelta, il datore di lavoro ha la prerogativa di rifiutare l’esecuzione della prestazione, allorché non siano osservati i presupposti necessari relativi all’obbligo di sicurezza del luogo di lavoro, che nel caso di specie si sostanzia nell’evitare situazioni che favoriscano la diffusione del contagio. Inoltre, la diversa disciplina dettata per i soggetti la cui vaccinazione è omessa o differita per motivi medici è legittimata in quanto attuazione del principio solidaristico. Anche la seconda questione è quindi infondata.

Affrontando la terza questione, la Corte ricorda che la disciplina richiamata dai giudici a quibus in tema di assegni alimentari, garantiti in caso di sospensione dall’esercizio dell’attività lavorativa, riguarda i casi di sospensione provvisoria del lavoratore in quanto parte di un procedimento giudiziario che deve concludersi prima della prosecuzione dell’attività lavorativa. Ciò non è assimilabile alla fattispecie prevista dalle norme censurate. Infatti, sebbene l’assegno alimentare abbia natura assistenziale, nel caso in esame il venir meno della sinallagmaticità nell’esecuzione del contratto di lavoro non ha carattere oggettivo, bensì soggettivo, essendo libera scelta del lavoratore quella di non sottoporsi alla vaccinazione. Per questi motivi la Corte non accoglie nemmeno l’ultima questione.

Il ricorso presentato dal TAR Lombardia è invece dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice a quo.

Il testo completo della sentenza è disponibile nel box download. 

Ulteriori sentenze relative allo stesso tema:
Corte costituzionale sent. 171/2023
Corte costituzionale sent. 156/2023
Corte costituzionale sent. 14/2023
Corte costituzionale sent. 16/2023
Consiglio di Stato sent. 7045/2021
Consiglio di Stato decreto 10096/2021

Giulia Alessi
Pubblicato il: Giovedì, 09 Febbraio 2023 - Ultima modifica: Giovedì, 14 Settembre 2023
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