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Corte costituzionale – sent. 127/2020: riconoscimento non veridico del figlio
26 maggio 2020

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 263 del codice civile, sollevata dalla Corte d’appello di Torino in rapporto agli articoli 2 e 3 della Costituzione: la legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio da parte di colui che lo abbia fatto nella consapevolezza nella sua non veridicità (c.d. riconoscimento per compiacenza), senza concedere la medesima possibilità a chi abbia acconsentito al concepimento con fecondazione assistita eterologa, non costituisce irragionevole disparità di trattamento. 

Numero
127
Anno
2020

Nell’ambito di un giudizio di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, la Corte d’appello di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, nella parte in cui non esclude che chi abbia compiuto il riconoscimento del figlio, pur conscio della non veridicità dell’atto, sia legittimato a impugnarlo. 

Secondo il giudice a quo si verificherebbe, in primo luogo, un contrasto con l’articolo 3 della Costituzione poiché si creerebbe una disparità di trattamento tra casi analoghi. Infatti, mentre colui che ha consapevolmente effettuato il riconoscimento di un figlio biologicamente non suo potrebbe proporre l’impugnazione per difetto di veridicità, ex art. 263 cod. civ. Diversamente, chi ha acconsentito alla fecondazione assistita eterologa non potrebbe avvalersi della stessa possibilità, stante il divieto previsto dall’articolo 9 della legge n. 40/2004. A ben vedere, però, le due situazioni sono assolutamente identiche: in entrambe vi è la volontà di assumere la paternità e la responsabilità di un figlio, nonostante la consapevolezza di non esserne il padre biologico. Pertanto, oltre che nei casi di fecondazione assistita eterologa, la legittimazione ad impugnare il riconoscimento non veridico dovrebbe escludersi anche nel caso in cui un soggetto abbia scelto di instaurare con un minore un rapporto di filiazione pur conoscendo la difformità della realtà biologica. Lo statusdel figlio, infatti, non potrebbe essere sacrificato solamente in virtù della riconsiderazione dei propri interessi. 

In secondo luogo, la norma censurata si porrebbe in contrasto anche con l’articolo 2 della Carta costituzionale in quanto violerebbe i principi di responsabilità individuale, di solidarietà sociale e di salvaguardia dell’identità personale del figlio. 

La Corte costituzionale non ha ravvisato alcun contrasto tra l’articolo 263 cod. civ. e l’articolo 3 della Costituzione: non è possibile equiparare la volontà di chi acconsente ad utilizzare materiale biologico altrui nella fecondazione eterologa e la volontà di chi riconosce un figlio non suo. Nella prima ipotesi, infatti, la volontà manifestata conduce alla nascita di una persona che altrimenti non sarebbe nata. Nella seconda, invece, la volontà di effettuare il riconoscimento si esprime rispetto a un individuo che è già in vita. Pertanto, le previsioni della legge n. 40/2004 rivestono carattere eccezionale rispetto alla disciplina generale della filiazione, in quanto «è volto a sottrarre il destino giuridico del figlio ai mutamenti di una volontà che, in alcuni casi particolari e a certe condizioni, tassativamente previste, rileva ai fini del suo concepimento» (punto 3.2). 

A giudizio della Corte, la norma censurata non si pone in contrasto nemmeno con l’articolo 2 della Costituzione. Infatti, nel caso di un’impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso, il giudice è chiamato a svolgere una valutazione che tenga conto di tutte le peculiarità del caso concreto. Tra gli elementi considerati rientra senz’altro il diritto all’identità personale del figlio riconosciuto. Assumo rilievo quindi, oltre alla verità biologica, anche i legami affettivi e personali costituitesi all’interno della famiglia. 

In conclusione, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, sollevata dalla Corte d’appello di Torino in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione. 

Il testo della sentenza è disponibile a questo link e nel box download.

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Emma Pivato
Pubblicato il: Martedì, 26 Maggio 2020 - Ultima modifica: Domenica, 14 Aprile 2024
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