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Tribunale di Roma - ord. 2 ottobre 2015: scambio di embrioni e disconoscimento paternità nel Caso Pertini
2 ottobre 2015

Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 2 ottobre 2015, ha rigettato la domanda di disconoscimento di paternità proposta dalla coppia i cui embrioni, a causa di uno scambio di provette, erano stati destinati alle procedure di procreazione medicalmente assistita per un’altra coppia.

Anno
2015

Il ricorrente, in particolare, proponeva un’azione di disconoscimento di paternità, chiedendo al Tribunale di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 243 bis c.c. nella parte in cui non prevede l’azionabilità di tale domanda in capo al padre genetico nel caso di scambio di provette, per violazione degli artt. 2, 3, 24, 30 e 117, co. 1 (in riferimento all’art. 8 Cedu), Cost.

Con diverso atto di citazione, la donna i cui embrioni erano stati impiantati per errore nell’utero di un’altra donna, proponeva azione di disconoscimento di maternità, affermandosi madre dei gemelli nati in seguito alla procreazione medicalmente assistita svoltasi presso l’Ospedale Pertini di Roma. Analogamente, la ricorrente chiedeva al Tribunale di sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, co. 3, c.c., per violazione degli artt. 2, 24, 30 e 117, co 1 (in riferimento all’art. 8 Cedu), Cost.

Nell’ambito del procedimento cautelare il Tribunale riteneva insussistenti i presupposti per la proposizione delle questioni di legittimità costituzionale e rigettava entrambe le istanze. I ricorrenti proponevano quindi reclamo avverso le ordinanze cautelari deducendo:

-          Di essersi rivolti all’Ospedale Pertini per un percorso di PMA

-          Che gli embrioni creati con i loro gameti erano stati impiantati per errore nell’utero di un’altra coppia

-          Che i gemelli nati da tali embrioni sono stati registrati all’anagrafe quali figli della partoriente e di suo marito

-          Che i minori sono figli genetici dei reclamanti

-          Che nel corso del procedimento cautelare il giudice aveva escluso la sussistenza dei presupposti per sollevare una questioni di legittimità costituzionale, ritenendo prevalente l’interesse dei minori a rimanere nel contesto familiare costituitosi con la gestazione e con i primi mesi di vita

-          Che l’interpretazione dell’art. 269, co. 3, c.c. che mira ad escludere il disconoscimento di maternità, nel caso in cui si sia verificato uno scambio di embrioni nel corso di una procedura di PMA, determina l’incostituzionalità della norma e che tale conclusioni deve trarsi anche con riferimento all’art. 243 bis cc, quanto al disconoscimento di paternità

-          Che in sede cautelare il giudice di prime cure avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale al fine di tutelare il legame genetico tra figli e genitori e al fine di garantire il diritto dei minori a conoscere le proprie origini biologiche

Si sono costituiti in giudizio i genitori dei minori, il curatore speciale e il pubblico ministero, chiedendo il rigetto del reclamo.

Il Tribunale afferma che la disciplina applicabile è la normativa speciale rappresentata dalla legge 40, e in particolare dal combinato disposto degli articoli 8 e 6 della legge, in base al quale i nati a seguito di PMA hanno lo status giuridico di figli della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche, formulando il proprio consenso informato alla procedura. Tale opzione interpretativa, secondo il Tribunale, sarebbe valevole a derogare alle norme del codice civile sulla filiazione. Tuttavia, essa non appare percorribile dal momento che l’art. 8 della legge 40 non può applicarsi all’embrione in vitro, poiché esso è privo di personalità giuridica, di capacità successoria e non può acquisire uno stato di filiazione prima dell’impianto in utero e prima della nascita. Secondo il Tribunale, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 162/2014, la definizione dello stato giuridico del nato, ex art. 8 legge 40/2004, deve tenere in considerazione l’impianto dell’embrione nell’utero materno. L’impianto in utero determina, infatti, la separazione tra il destino degli embrioni che, seppur formati in vitro, non vengono impiantati oppure – anche se impiantati – non danno il via ad una gravidanza.

L’errore dell’ospedale è intervenuto prima che si determinasse lo status filiationis. Tale lettura si rafforza, secondo il Tribunale, nella novella legislativa di riforma della filiazione che, pur modificando profondamente la disciplina codicistica e pur nella consapevolezza delle nuove possibilità offerte dallo sviluppo scientifico, ha mantenuto fermo il criterio della determinazione della maternità in capo a colei che partorisce.

Secondo il Tribunale, inoltre, il diritto della filiazione non tollera la moltiplicazione delle figure genitoriali dal lato materno e «il nostro ordinamento in ogni ipotesi di surrogazione di maternità [risponde] con la prevalenza della madre partoriente sulla madre genetica». Alle medesime conclusioni conduce la riflessione sulle norme codicistiche relative alla supposizione di parto e allo scambio di neonato.

Secondo il Collegio non vi sono i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale. Il principio prevalente, secondo la Corte costituzionale, nelle azioni di stato è quello della tutela della dignità umana, di tutti i soggetti coinvolti: i prevalenti valori costituzionali coinvolti nel caso di specie sono la tutela della dignità umana, il diritto sul proprio corpo, il diritto alla salute e il diritto all’autodeterminazione circa la gestazione, tutti riconducibili in via diretta alla donna resistente, che ha dato alla luce i minori. Ciò preclude la questione di legittimità costituzionale. Analoghe osservazioni vengono svolte anche in relazione alla posizione dell’uomo reclamante, da un lato, e del padre dei gemelli, dall’altro lato. Inoltre, osserva il tribunale, è da escludersi la legittimazione attiva del reclamante all’azione di disconoscimento di paternità, dal momento che ciò è escluso espressamente dalla stessa legge 40 e dalla giurisprudenza costituzionale antecedente. Infine, nemmeno nella giurisprudenza della Corte Edu sono ravvisabili principi che spingano a ritenere la genitorialità genetica prevalente su quella biologica e sociale in casi come quello di specie.

Il reclamo viene pertanto rigettate e, data la assoluta novità dei temi trattati, le spese sono compensate.

Il testo della sentenza è disponibile nel box download.

A questo link la decisione cautelare.

A questo link la decisione del Tribunale di Roma dell'agosto 2014. Anche la Corte EDU è stata investita della questione (X e Y v. Italy), ma il ricorso è stato giudicato inammissibile a causa del mancato esperimento dei rimedi interni.

Lucia Busatta
Pubblicato il: Venerdì, 02 Ottobre 2015 - Ultima modifica: Mercoledì, 12 Giugno 2019
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