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Tribunale di Firenze – ord. 17 gennaio 2024: questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 c.p. come modificato dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale
17 gennaio 2024

Il Giudice per le indagini preliminari di Firenze ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 c.p., come modificato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 242/2029 (caso Cappato e Antoniani), nella parte in cui subordina la non punibilità di chi agevola il suicidio altrui alla circostanza che la persona che chiede di attuare il proposito suicidario sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.  Tale requisito, infatti, contrasterebbe con gli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost. 

Anno
2024

Il procedimento in questione riguarda Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese, indagati per il reato di cui all’art. 580 c.p. Essi, infatti, hanno organizzato e realizzato l’accompagnamento di Massimiliano, affetto da sclerosi multipla dal 2017, in una clinica svizzera. Lì Massimiliano, in data 8 dicembre 2022, ha realizzato il proprio proposito suicidario. Il GIP ha ritenuto che la condotta degli indagati rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 580 c.p., nello specifico della fattispecie di aiuto al suicidio, non potendo ritenersi applicabile la causa di non punibilità introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 242/2019: nel caso di specie non risulta integrata la condizione della “dipendenza da trattamenti di sostegno vitale”. Le risultanze acquisite in fase di indagine, invece, hanno consentito di dimostrare la sussistenza degli altri tre requisiti contemplati dalla sopracitata sentenza 242/2019 (patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, capacità di prendere decisioni libere e consapevoli). 

A giudizio del GIP il suddetto requisito della “dipendenza da trattamenti di sostegno vitale” non sarebbe soddisfatto neanche qualora fosse dato rilievo a tutti quei trattamenti meccanici, farmacologici o assistenziali sospendendo i quali giungerebbe la morte, anche non rapida, del malato. Nonostante Massimiliano fosse dipendente dall’aiuto del padre convivente, infatti, una simile interpretazione estensiva, proposta dalla Corte d’Assise di Massa nella sentenza n. 1/2020, non è condivisibile. A ben guardare, valorizzando il dato testuale della sentenza n. 242/2019, ci si avvede che la Consulta ha inteso riferirsi a situazioni sostanziali riconducibili alla legge n. 219/2017. Tale atto riguarda specificatamente i trattamenti sanitari. Pertanto «[…] non ogni “aiuto a vivere” (sia pur congiuntamente agli altri requisiti) può, allo stato, giustificare la non punibilità delle condotte di “aiuto a morire”: l’aiuto deve sempre estrinsecarsi nelle forme di un trattamento, e più precisamente di un trattamento sanitario, del tutto assente nel caso di specie» (punto 2.2.3, p. 10). 

Il GIP ritiene che il requisito secondo il quale il soggetto deve essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, per come sopra delineato, presenti profili di incompatibilità con alcuni parametri costituzionali. 

In primo luogo, in contrasto con l’articolo 3 Cost., si verificherebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra situazioni concrete sostanzialmente uguali: il criterio in parola non opera una selezione razionale tra fattispecie simili. La sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale, infatti, è determinata da circostanze casuali, che dipendono solamente dalle contingenze legate alla variabilità dei casi concreti (ad esempio, lo stadio della malattia e le cure disponibili in un determinato luogo e momento storico). Il parametro della dipendenza da suddetti trattamenti, inoltre, sembra essere inidoneo e sproporzionato rispetto all’obiettivo di tutela della vita presidiato dall’articolo 580 c.p. La ratio degli artt. 579 e 580 c.p., a ben vedere, è quella di salvaguardare non solo le persone più fragili (come, appunto, quelle sottoposte a trattamenti di sostegno vitale) ma qualsiasi soggetto. Pertanto, la sussistenza del requisito in analisi è irrilevante ai fini della tutela dei valori che la Corte costituzionale ha ritenuto essenziali nella sentenza n. 242/2019: il bilanciamento tra l’autodeterminazione e il principio di dignità da un lato, e la salvaguardia della vita umana dall’altro, non dipende dalla presenza o meno di trattamenti di sostegno vitale cui il malato sia sottoposto. 

In secondo luogo, considerando quanto sottolineato, emerge come l’impossibilità di accesso al suicidio medicalmente assistito per i pazienti che non siano soggetti ai sopracitati trattamenti leda ingiustificatamente la libertà di autodeterminazione nella scelta delle terapie, fondata sugli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione. 

In terzo luogo, si profila una violazione del principio di dignità umana. Allo stato attuale, infatti, i malati, per poter accedere al suicidio medicalmente assistito, sono costretti ad attendere che la loro patologia si aggravi fino al punto in cui si rende necessaria l’attivazione di trattamenti di sostegno vitale. 

In quarto luogo, il criterio in esame si pone in contrasto con l’articolo 117 Cost., rilevante come parametro interposto di costituzionalità in riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Anzitutto, subordinare l’aiuto al suicidio di una persona in grado di autodeterminarsi alla condizione che ella dipenda da trattamenti di sostegno vitale comprime in modo sproporzionato il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’articolo 8 della CEDU. Anche qualora si voglia invocare, poi, il legittimo margine di apprezzamento proprio di ogni Stato, va considerato che tale margine deve esercitarsi in ottemperanza al divieto di discriminazione previsto dall’articolo 14 della CEDU. Ciò implica che la disciplina statale, una volta ammessa per i malati irreversibili e sofferenti la libertà di avvalersi del suicidio medicalmente assistito, debba garantire la medesima possibilità anche a chi, malato irreversibile e sofferente, non si trovi sottoposto a trattamenti di sostegno vitale. 

In conclusione, tenute presenti le considerazioni svolte, il GIP ha richiesto alla Corte costituzionale di dichiarare illegittimo l’articolo 580 c.p., come modificato dalla sentenza n. 242/2019 della Consulta stessa, nella parte in cui prevede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla condizione che l’aiuto sia fornito a una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32, 117 Cost. (in riferimento agli artt. 8 e 14 CEDU). 

Sul tema:

Emma Pivato
Pubblicato il: Mercoledì, 17 Gennaio 2024 - Ultima modifica: Giovedì, 04 Aprile 2024
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