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Corte costituzionale, sentenza n. 170/2014: transizione di genere e scioglimento del matrimonio
11 giugno 2014

La Corte costituzionale ritiene in contrasto con l’art. 2 Cost. l’assenza nell’ordinamento di un istituto che – a seguito della transizione di sesso di uno dei coniugi – permetta alla coppia di mantenere i rispettivi diritti ed obblighi.

Numero
170
Anno
2014

La Corte di Cassazione sollevava la questione di legittimità degli artt. 2 e 4 della legge n. 164/1982, ritenendo che l’automatico scioglimento del matrimonio, a seguito della rettificazione di sesso di uno dei coniugi, non proporzionasse in maniera adeguata il complesso intreccio di interessi costituzionalmente tutelati, alla luce degli artt. 2, 3 e 29 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 CEDU. Il plesso rimettente rilevava infatti che – nell’interpretazione consolidatasi presso i giudici di merito – la legge n. 164/1982 aveva introdotto una speciale fattispecie di “divorzio imposto ex lege”, la quale dispiegava effetti di pieno diritto sul presupposto della semplice sentenza di riassegnazione del genere anagrafico, senza necessità di una pronuncia giudiziale ad hoc, salva comunque la necessità di determinazioni concernenti la tutela dei figli minori. Secondo il tenore letterale dell’art. 4 della legge n. 164/1982, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 31, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011 “provoca” lo scioglimento del matrimonio.

Nel dettaglio, la vertenza – pur trattata in modo unitario dalla Corte costituzionale – recava quattro diverse questioni di legittimità costituzionale sul tenore letterale della legge n. 164/1982: 1) l’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio a seguito della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca l’automatica ; 2) il mancato riconoscimento del diritto del coniuge di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale; 3) il mancato riconoscimento del medesimo diritto ad opporsi allo scioglimento del matrimonio anche per la persona che ha ottenuto la rettificazione di attribuzione di sesso; 4) l’ingiustificata equiparazione della rettificazione ai sesso ai gravi casi di scioglimento del matrimonio previsti dalla legge (ergastolo, contrazione di un nuovo matrimonio all’estero, particolari reati nei confronti dei familiari etc.).

 

La Corte costituzionale dichiara non fondata la questione sollevata rispetto all’art. 29 Cost., posto che “la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente […] è quella stessa definita dal codice civile del 1942, che «stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso» (sentenza n. 138 del 2010)”. Da un lato, perciò, l’art. 29 non ha determinato alcun superamento del “del requisito, per il nostro ordinamento essenziale, della eterosessualità”. Per altro verso, la legge n. 164/1982 non preclude alla persona che ha modificato il proprio sesso anagrafico la possibilità di contrarre matrimonio con una persona di sesso diverso da quello acquisito a seguito della rettificazione.

Viene dichiarata infondata anche la questione relativa alla violazione degli articoli 8 e 12 CEDU. Secondo l’interpretazione del trattato resa dai Giudici di Strasburgo, infatti, gli Stati membri non hanno l’obbligo di estendere la regolamentazione giuridica del matrimonio anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso. Perciò, ai fini della Convenzione, rimangono “riservate alla discrezionalità del legislatore nazionale le eventuali forme di tutela per le coppie di soggetti appartenenti al medesimo sesso”.

La tutela è approntata, invece, dall’art. 2 Cost., poiché [LB1] l’unione omosessuale rientra tra le “formazioni sociali”, nell’ambito delle quali “la Repubblica” è tenuta a riconoscere e garantire “i diritti inviolabili dell'uomo”. Tuttavia, se in linea generale compete alla discrezionalità del legislatore selezionare le modalità di regolamentazione delle relazioni tra persone dello stesso sesso, il caso dello scioglimento del matrimonio a seguito dell’affermazione di genere presenta delle specificità che legittimano un sindacato di adeguatezza e proporzionalità più profondo da parte del giudice costituzionale. Il bilanciamento d’interessi operato dalla legge n, 164/1982 appare infatti squilibrato verso la pretesa dello Stato a che non siano alterati i caratteri fondamentali dell’istituto del matrimonio, anche a costo di sacrificare integralmente la condizione giuridica degli ex coniugi, a seguito dell’affermazione di genere della persona transgender.

Secondo la Corte, un più ragionevole bilanciamento d’interessi può ravvisarsi nell’introduzione di una forma regolata di convivenza, che non stravolga i connotati dell’unione matrimoniale (così come delineati dal Codice civile del1942 e presupposti dall’art. 29 Cost.), ma consenta comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia, costituito da un intarsio di diritti ed obblighi, la cui disciplina concreta deve essere completata da un intervento legislativo.

Su queste premesse, la Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164/1982, nella parte in cui non consentono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi possa sancire, in alternativa allo scioglimento del matrimonio, la conversione di quest’ultimo in un’altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia, secondo le modalità che spetta al legislatore statuire.

Il testo della sentenza è disponibile a questo link e nel box download.

AGGIORNAMENTO

La legge n. 76/2016 ha istituito l’unione civile tra persone dello stesso sesso “quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2  e 3 della Costituzione  e reca la disciplina delle convivenze di fatto”. L’unione può essere registrata da due maggiorenni, avanti all’Ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni. Il d.lgs. n. 5/2017 ha successivamente disposto l’introduzione del seguente art. 4-bis nell’art. 31 del d.lgs. n. 150/2011: “la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso ed il coniuge possono, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di costituire l'unione civile, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti la scelta del cognome ed il regime patrimoniale. Il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordina all'ufficiale dello stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all'estero, di iscrivere l'unione civile nel registro delle unioni civili e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti relative alla scelta del cognome ed al regime patrimoniale”.

Francesco Dalla Balla
Pubblicato il: Mercoledì, 11 Giugno 2014 - Ultima modifica: Mercoledì, 25 Giugno 2025
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