L’High Court of Justice ha affermato il divieto di procreazione postuma mediante l’uso di embrioni criocongelati in assenza di consenso informato specificamente riferito a tale finalità.
Regno Unito - High Court of Justice – Family Division – G vs. HFEA and others – divieto di procreazione postuma in assenza di consenso informato specifico
30 settembre 2024
La vicenda
Una donna, prima di sottoporsi alle cure chemioterapiche che avrebbero potuto avere conseguenze negative sulla sua fertilità e dopo aver espresso il proprio consenso ad una serie di attività finalizzate alla procreazione medicalmente assistita - tra cui raccolta degli ovuli, stimolazione ovarica per il congelamento degli ovuli e crioconservazione dei suoi ovuli - si è sottoposta al prelievo e al congelamento di 20 ovuli.
Qualche mese dopo, a seguito dell’aggravamento delle sue condizioni di salute, ha manifestato informalmente in più occasioni la volontà di ricorrere alla maternità surrogata.
Dopo la morte della ragazza, la madre ha adito il giudice chiedendo di dare attuazione alla volontà della figlia, e quindi di poter procedere alla maternità surrogata mediante l’impianto ad una gestante di un embrione creato tra uno degli ovuli della figlia conservati e lo sperma di un donatore, ricorrendo a due persone già conosciute e individuate dalla figlia.
Dopo la nascita, la ricorrente intenderebbe adottare il bambino per poterlo crescere autonomamente.
La decisione
Anzitutto, il giudice sottolinea che il consenso informato rappresenta la pietra angolare della disciplina applicabile alla p.m.a., dettata dall’HFEA 1990. Il consenso deve essere espresso conformemente a quanto previsto dall’Allegato 3 alla legge, e in particolare, deve avere forma scritta, deve essere sottoscritto e indicare lo scopo che la paziente intende perseguire sottoponendosi alla procreazione medicalmente assistita (punto 76).
Osserva poi che il modulo di consenso informato sottoscritto dalla paziente non faceva alcun riferimento all’uso postumo degli embrioni e che nel momento in cui la stessa ha firmato il modulo, prestando il proprio consenso, intendeva procedere alla p.m.a. al fine di poter vivere in prima persona la maternità, una volta terminate le cure. Tanto più che non era inserita in un percorso di fertilità e genitorialità condiviso con un partner (punto 79).
Da quanto riportato dalla madre, soltanto mesi dopo aver prestato il consenso e soltanto dopo aver preso piena consapevolezza della propria condizione terminale, la figlia avrebbe espresso informalmente il desiderio di volersi avvalere della gestazione per altri. Tuttavia, nelle dichiarazioni della paziente non vi sarebbe alcun riferimento alla presenza di un partner che avrebbe potuto donare i propri gameti per poter creare un embrione, né vi sarebbe alcuna indicazione in merito a coloro che si dovrebbero occupare di crescere il bambino. Inoltre, in occasione dei colloqui durante i quali i medici la mettevano al corrente della sua condizione di salute non avrebbe mai formulato richieste in tal senso o rappresentato il desiderio relativo ad un uso postumo degli embrioni mediante ricorso alla maternità surrogata (punti 81 – 85).
Il giudice conclude affermando che non può accogliere l’argomento in base al quale la ricorrente ritiene che la figlia avrebbe espresso il consenso all’uso postumo degli ovuli se le fosse stata data la possibilità di farlo. Infatti, il consenso “informato” presuppone che il paziente sia reso edotto di tutte le possibilità a sua disposizione e di tutte le informazioni opportune e necessarie e che dunque, soltanto a seguito di tale processo informativo, possa scegliere liberamente se dare o meno il proprio consenso (punto 93).
Pertanto, il giudice rigetta la richiesta della ricorrente.
Il testo completo della sentenza è disponibile nel box download.