La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse ad agire dei ricorrenti il ricorso proposto contro la sentenza della Corte d’appello di Bari che negava la rettificazione dell’atto di nascita di una minore nata all’estero attraverso maternità surrogata.
Corte di cassazione – sentenza n. 24369/2024 – gestazione per altri e rettificazione dell’atto di nascita
11 settembre 2024
Una coppia di donne era ricorsa alla gestazione per altri all’estero e, nello specifico, una delle due aveva donato un ovocita che era stato poi fecondato e impiantato nell’utero di una terza donna (gestante) che aveva portato a termine la gravidanza. Successivamente, la coppia aveva trascritto l’atto di nascita della minore nei registri dello stato civile del comune di Bari. Terminata la relazione tra le due, il P.M. del Tribunale di Bari, su istanza dei genitori della genitrice biologica, richiedeva la rettificazione dell’atto di nascita in ragione dell’assenza di un legame biologico dell’altra donna con la minore.
Il Tribunale di Bari rigettava il ricorso asserendo che la domanda di rettifica avente ad oggetto la qualità di genitore della donna assumeva “la veste ed il contenuto di un’azione di rimozione di status non proponibile mediante l’azione di rettificazione degli atti dello Stato civile” (punto 2).
I soccombenti (P.M. e genitori della genitrice biologica) proponevano appello contro la sentenza di primo grado dinanzi alla Corte d’Appello di Bari, che rigettava le impugnazioni, confermando quanto già statuito dal giudice di prime cure. Atteso che la funzione degli atti dello stato civile è quella di attestare la veridicità dei fatti menzionati nei rispettivi registri, il ricorso ex art. 95, l. 396/2000 può essere proposto soltanto al fine di “eliminare una difformità tra la situazione di fatto quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge e quale risulta dall’atto” e non con il proposito di rimuovere uno status (punto 3).
In merito al divieto di surrogazione di maternità di cui all’art. 12, comma 6, l. 40/2004, la Cassazione osserva che l’art. 33 della l. 218/1995 impone l’applicazione della legge più favorevole per il minore, in questo caso, quindi, quella statunitense che garantisce la bigenitorialità. Questi principi sono stati confermati anche dalla Corte costituzionale, nella sentenza 272/2017, in cui si sottolineava l’importanza di un contemperamento tra favor veritatis e interesse preminente del minore nelle azioni di rimozione degli status, e nella sentenza 33/2021, in cui si evidenziava la necessità “di dare rilievo giuridico al legame instaurato da entrambi con il minore in ordine a tutte le esigenze di cura, accudimento ed educazione del minore stesso” (punto 3).
I genitori della donna genitrice biologica, nonni della minore, proponevano allora ricorso per cassazione.
La Corte di cassazione analizza preliminarmente la questione relativa all’insussistenza del diritto e dell’interesse a proporre l’azione e, conseguentemente, a impugnare la sentenza dei ricorrenti.
La Corte, osserva che, mentre il P.M. è legittimato attivo in quanto è tenuto a salvaguardare la “vigilanza e tutela dell’interesse pubblico alla corretta tenuta dei registri dello stato civile e alla loro corrispondenza alle previsioni legislative”, i privati per poter agire devono provare l’interesse sottostante l’azione (punto 7.3). Infatti, sebbene la disposizione non lo richieda espressamente, da un’interpretazione sistematica della disciplina in materia di legittimazione ad agire con riguardo all’azione di impugnazione del riconoscimento di cui all’art. 263, c.c. e all’azione di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera di cui all’art. 67, l. 218/1995, si deduce che tale ulteriore requisito sia necessario.
Tale ricostruzione della norma sarebbe confermata anche dal dato letterale della disposizione che in apertura riporta il pronome “chi”, anziché di “chiunque”.
Tuttavia, nel caso di specie, i ricorrenti non hanno dedotto e provato alcun interesse concreto all’azione.
Inoltre, la Corte osserva che la posizione degli odierni ricorrenti, non avendo autonomo interesse ad agire nei primi due gradi, è qualificabile come quella di interventori ad adiuvandum, quale quella di chi “ha interesse a sostenere le ragioni di una parte” ma “privo di un proprio interesse ad agire ed a contraddire”, e che pertanto non possono impugnare autonomamente la pronuncia di secondo grado (punto 8.1).
Alla luce di queste considerazioni, la Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Il testo completo della sentenza è disponibile nel box download.