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Corte di Cassazione – sez. IV penale – sentenza n. 27539/2019: il feto, durante il travaglio, rientra nel concetto di “uomo”
20 giugno 2019

La quarta sezione della Corte di Cassazione, nell’esaminare i criteri che distinguono le fattispecie di omicidio (doloso e colposo ex artt. 575 e 589 c.p.), infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale (art. 578 c.p.) e procurato aborto (art.17 e ss. l. n. 194/1978), ha riconosciuto la possibilità che anche il feto rientri nella nozione di “uomo”, quale soggetto passivo dei reati di omicidio.

Numero
27539
Anno
2019

Il caso origina da una sentenza del Tribunale di Salerno che aveva condannato un'ostetrica, per il reato di cui all'art. 589 c.p., per aver causato la morte del feto partorito da una sua paziente. In particolare, l'imputata era stata ritenuta responsabile di avere agito con negligenza e imperizia per non avere realizzato i necessari monitoraggi cardiotocografici che avrebbero consentito di rilevare il battito fetale. Il mancato rilievo del battito cardiaco e l'omessa comunicazione al ginecologo non avevano consentito di scoprire la sopravvenuta sofferenza fetale e avevano impedito l'adozione delle manovre urgenti e necessarie ad evitare la morte in utero del feto, dichiarato nato morto per asfissia perinatale a seguito dell'esame autoptico e istopatologico.

Nel ricorso proposto contro la sentenza della Corte di appello che aveva confermato la condanna per il reato di cui all’art. 589 c.p., il ricorrente proponeva, tra i motivi del ricorso, l’errata qualificazione giuridica della fattispecie delittuosa quale omicidio colposo ex art. 589 c.p. in luogo del reato di aborto colposo di cui all’art. 17 l. n. 194 del 1978. Pur riconoscendo che il feto possa essere considerato un soggetto giuridico meritevole di tutela, la difesa evidenziava come esso non possa ritenersi una persona in base al significato che il termine assume nel diritto positivo e, in particolare, nella legge penale. La nascita del feto, infatti, si realizzerebbe solo con la fuoriuscita dal ventre materno e con il compimento di un primo atto respiratorio, accertabile con la docimasia polmonare. Fatti questi che non si sarebbero verificati nel caso di specie.

In subordine il ricorrente sollevava questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 25, secondo comma, 117 Cost. e dell’art. 7 CEDU, in quanto, alla luce delle più recenti evoluzioni culturali e giurisprudenziali in tema di status e tutela del concepito, l’art. 589 c.p. nella sua attuale formulazione violerebbe i principi di tassatività, frammentarietà e sufficiente determinatezza della fattispecie penale. Secondo la difesa, infatti, la disposizione in esame non fornirebbe un’accezione univoca del concetto di “persona”, includendo o meno il feto umano a seconda del contesto di riferimento. A sostegno di questa tesi veniva richiamato il reato di cui all’art. 578, il quale, distinguendo e non equiparando le ipotesi di morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto, impedirebbe che la portata punitiva degli artt. 575 e 589 c.p. possa essere estesa anche alle ipotesi di morte del nascituro nella fase finale della gravidanza.

Nel dichiarare infondato il ricorso e l’assenza dei profili di illegittimità prospettati, la Corte di Cassazione afferma che «in tema di delitti contro la persona, l’elemento distintivo delle fattispecie di soppressione del prodotto del concepimento è costituito anche dal momento in cui avviene l’azione criminosa». Qualora la condotta criminosa sia posta in essere dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall’utero materno e qualora non sussistano le specifiche condizioni previste dall’art. 578 c.p., il fatto configura il reato di omicidio volontario. I reati di omicidio e di infanticidio-feticidio, rammenta la Corte, tutelano la vita dell’uomo nella sua interezza e l’uso della locuzione «durante il parto» nel testo dell’art. 578 c.p. è funzionale a specificare che il feto nascente deve essere incluso nel concetto di “uomo” quale soggetto passivo del reato. Infatti, prima di tale limite temporale la vita del feto è tutelata dal reato di procurato aborto.

Alla luce di tali elementi e dell’unanime e consolidato orientamento della giurisprudenza, la Cassazione riconosce l’inizio del travaglio, e dunque il raggiungimento dell’autonomia del feto, quale elemento distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo. Questo momento, che coincide con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina, costituisce un riferimento temporale più preciso rispetto al criterio del distacco del feto dall’utero materno, anche al fine di determinare la fattispecie di reato ascrivibile.

Infine, la Corte sottolinea come l’uso della generica nozione di “uomo” per indicare la vittima del reato non costituisca un difetto di univocità di questo concetto, ma consenta al giudice di stabilire il significato della parola con riguardo sia alla finalità di incriminazione sia al contesto in cui si colloca, dando al destinatario della norma una percezione sufficientemente chiara e immediata del valore precettivo della stessa.

Il testo della sentenza è disponibile nel box download.

Marta Fasan
Pubblicato il: Giovedì, 20 Giugno 2019 - Ultima modifica: Giovedì, 25 Luglio 2019
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