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Corte di Cassazione – sez. IV pen. – sent. 18780/2016: équipe medica e responsabilità penale
30 marzo 2016

Nel caso di lavoro medico d'équipe, la colpa per una manovra mal eseguita deve essere valutata alla luce dell'apporto e della funzione svolta dal singolo componente, non potendosi configurare una indistinta "responsabilità di gruppo"

Numero
18780
Anno
2016

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dagli imputati avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Milano che aveva condannato indistintamente un ginecologo e un infermiere ostetrico per aver provocato, con una manovra praticata inadeguatamente, lesioni gravissime ad un nascituro.

La sentenza si inserisce nel tema della responsabilità medica d’equipe.

Il Tribunale locale e la Corte d’appello di Milano avevano condannato un medico ginecologo e un infermiere ostetrico, presenti entrambi in sala operatoria, per aver praticato erroneamente una manovra di estrazione del feto da cui è derivata la perdita di funzionalità della mano sinistra del nascituro.

Secondo la Corte d'appello di Milano, si doveva dare per acquisita la sussistenza di una sorta di “responsabilità di gruppo”, ascrivibile all’intera équipe, indipendentemente da chi avesse di fatto provocato le lesioni.

La IV sezione penale della Corte di Cassazione ha invece ritenuto di dover annullare la sentenza impugnata asserendo che “le condotte degli imputati debbono essere vagliate separatamente, in base ai profili di colpa a ciascuno contestati e secondo l'apporto causale del comportamento del singolo rispetto all'evento lesivo, non essendo corretta in diritto la generica affermazione dei giudici di merito secondo la quale nel lavoro di équipe ogni operatore risponde dell'operato comune dovuto alla condotta altrui.” [par. 2 parte in diritto]

La Suprema Corte, nella sentenza in esame, ribadisce alcuni principi fondamentali da tenere in considerazione nel valutare la distribuzione della responsabilità penale nell’ipotesi della cooperazione tra più medici. Nelle argomentazioni della Corte si rileva che: 

-      La responsabilità penale di ciascun componente non può essere affermata sulla base di un errore genericamente attribuito all’équipe ma va valutata in relazione alle mansioni concrete svolte da ciascun membro nell’ambito delle proprie competenze e della propria professionalità;

-      Ogni sanitario, oltre che al rispetto delle regole di diligenza e prudenza relative alla mansione di sua spettanza, non può esimersi dall’obbligo di controllo e valutazione dell’attività precedentemente o contestualmente svolta da altro professionista nell’ottica della convergenza di tutte le attività verso un unico e comune fine; si legge infatti: “Nell'ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico” [par.2.1 parte in diritto].

Infatti la Corte, sviluppando conclusioni già raggiunte in precedenti decisioni (Cass., Sez. IV Pen., sent. n. 50038/2017, Cass., Sez. IV Pen., sent. n. 46824/2011), conclude nel senso che il principio dell’affidamento sulla correttezza della condotta posta in essere dai colleghi sia destinato a non operare allorché operi il principio di equivalenza delle cause ex art.41 c.p., così espresso nelle parole della Suprema Corte: “allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell'evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità” [Sez. IV, 26.11.2011, n. 46824].

Essa ribadisce il principio sottolineando che: “il partecipe dell'équipe, titolare di autonoma posizione di garanzia, e in posizione di subordinazione gerarchica rispetto al medico, potrà fare affidamento nell'operato di questi, sempre che non siano da lui riconoscibili le eventuali violazioni delle regole dell'arte medica” [par. 2.2 in diritto]

Il Collegio, dunque, si spinge a vagliare le condotte dei singoli operatori sanitari.

Da ciò deriva che, poiché fu la ginecologa ad eseguire la manovra finalizzata all’estrazione del feto, e quindi l’ostetrico si trovava nell’impossibilità di valutare l’intensità e la corretta esecuzione della manovra, questo non ha contribuito in alcun modo all’evento lesivo.

Il Collegio ha pertanto concluso ritenendo non sussistente la condotta colposa dell’ostetrico, poiché egli “era in sala parto ma non poteva compiere alcuna manovra, di spettanza del medico presente” (par. 4 in diritto).

Passando invece alla valutazione della condotta della ginecologa, la Corte, conformemente alla linea argomentativa espressa nei precedenti gradi di giudizio, ribadisce che si è avuto un “macroscopico scostamento del comportamento tenuto rispetto a quello doverosamente esigibile dal medico specialista. Non si trattava di una manovra che implicasse la soluzione di problemi di particolare difficoltà, era sicuramente delicata ma rientrava nelle normali competenze del medico ginecologo, e dunque non può dirsi lieve la colpa della imputata [...]” [par. 8 parte in diritto].

Pertanto, anche la Suprema Corte qualifica la colpa della ginecologa in termini di colpa grave, confermandone la responsabilità penale.

La sentenza viene tuttavia annullata senza rinvio, perché nel frattempo era intervenuta la prescrizione del reato.

Rosa Signorella
Pubblicato il: Mercoledì, 30 Marzo 2016 - Ultima modifica: Lunedì, 04 Novembre 2019
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