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Corte di Cassazione - sez. IV pen. - sent. 50038/2017: responsabilità medica e cooperazione tra professionisti della salute
10 ottobre 2017

La IV sezione della Cassazione Penale (sentenza 50083/2017) ha confermato la condanna di due professionisti della salute per omicidio colposo, per aver effettuato una trasfusione di sangue incompatibile con il gruppo sanguigno del paziente.

Numero
50038
Anno
2017

In particolare, il caso riguarda un’équipe composta da quattro sanitari: un tecnico ospedaliero, incaricato di fornire la sacca di sangue destinata alla trasfusione; due medici, incaricati in concreto di compiere, in due tranches, la trasfusione; un medico anestesista, chiamato ad effettuare una diagnosi sul paziente quando presentava i primi sintomi di crisi ipotensiva in seguito alle trasfusioni errate. Tutti e quattro sono accusati di concorso in omicidio colposo (artt. 110, 113, 589 c.p.). Rispettivamente: il tecnico, per non aver controllato che il gruppo sanguigno del soggetto ricevente corrispondesse a quello della sacca consegnata; i due medici, per aver somministrato il sangue incompatibile con due diverse trasfusioni, senza effettuare un controllo di compatibilità; il medico anestesista, per non aver effettuato un’autonoma ricerca della causa della crisi del paziente, e non aver fornito così una corretta diagnosi. Nello specifico, il secondo medico e il medico anestesista sono stati prosciolti per prescrizione; per gli altri due sanitari, invece, è stata confermata la condanna per omicidio colposo comminata in secondo grado.

La Corte, nel delineare le responsabilità di ciascun imputato, ribadisce il principio dell’equivalenza delle cause, espresso dall’art. 41 del nostro codice penale: in presenza di una pluralità di cause, tutte idonee a produrre l'evento, queste vengono considerate di pari valenza, ricordando però che, quando una di esse sia stata da sola idonea a far realizzare l'evento, questa si considera l’unica causa dell’evento stesso. Nel caso di specie, le condotte messe in atto da ogni imputato si inserivano tutte nella medesima area di rischio (la morte del paziente) che non è mai mutato, bensì semplicemente si è aggravato con le successive condotte dei sanitari fino al decesso, prevedibile fin dall’inizio. Non è intervenuto, dunque, nessun fattore eccezionale idoneo a interrompere il nesso causale (iniziato con il primo errore compiuto dal tecnico) e quindi a causare da solo l’evento morte.

Per questo motivo, ogni sanitario deve considerarsi responsabile, senza poter invocare a propria difesa di aver fatto affidamento sulla condotta posta in essere dai suoi colleghi: il principio di affidamento infatti è destinato a non operare proprio in ragione del criterio di equivalenza delle cause, per cui, finché non intervenga un fattore causale eccezionale, in grado da solo di determinare l’evento costituente il reato, tutte le condotte idonee a produrre l’evento in questione sono considerate ugualmente punibili.

Nel box download è disponibile il testo della sentenza.

Irene Iannelli
Pubblicato il: Martedì, 10 Ottobre 2017 - Ultima modifica: Martedì, 25 Giugno 2019
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