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Corte di Cassazione - sez. III civ. - sent. 20984/2012: consenso informato
27 novembre 2012

La Corte di Cassazione ha stabilito che anche il paziente-medico ha diritto ad una piena informazione ai fini della prestazione del consenso ad un determinato trattamento sanitario.

Numero
20984
Anno
2012

Un medico radiologo aveva convenuto in giudizio l'azienda ospedaliera ove egli stesso prestava servizio, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per lesioni ossee da patologia articolare femorale, e per i gravi postumi delle stesse, subiti quale diretta conseguenza della terapia cortisonica somministratagli per la cura di un'encefalite post-vaccinica e post- influenzale.

La Corte di merito aveva negato la responsabilità della struttura sanitaria argomentando che, essendo il paziente un medico, egli aveva le cognizioni scientifiche necessarie per rendersi conto del trattamento cui veniva sottoposto e che, facendo parte della stessa struttura ospedaliera, aveva un contatto frequente con i medici curanti. Il fatto dunque che egli si fosse sottoposto alla cura avrebbe permesso di concludere che questi si fosse sottoposto volontariamente alla terapia nella consapevolezza (derivante dalle sue cognizioni mediche) dei rischi della stessa.

La Corte di Cassazione, al contrario, esclude la validità di un ragionamento fondato su tale manifestazione presuntiva del consenso.

La Corte di Cassazione ribadisce alcuni principii giurisprudenziali ormai acquisiti in tema di consenso:

«Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.

Senza il consenso informato l'intervento del medico è - al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità - sicuramente illecito, anche quando sia nell'interesse del paziente.

Il consenso informato ha come correlato la facoltà, non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche, nell'eventualità, di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla; e ciò in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale (v. per tutte Cass. 16.10.2007 n. 21748).

La responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell'obbligo del consenso informato discende a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto b) dal verificarsi - in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente.»

Ciò che rileva, dunque, «è che il paziente, a causa del deficit di informazione non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. anche Cass. 28.7.2011 n. 16543»

La Corte ritiene inammissibile tanto un consenso tacito per facta concludentia, quanto una forma di consenso presunto, basato sulla considerazione che il soggetto, in quel dato contesto situazionale, avrebbe sicuramente dato il consenso se gli fosse stato richiesto. Diversamente i giudici di legittimità considerano ammissibile che sia data prova di un consenso, effettivamente prestato, non attraverso un documento scritto, ma attraverso testimonianze ed indizi.

La Corte accoglie il ricorso, affermando l'irrilevanza della qualità del paziente al fine di escludere la doverosità dell’informazione che il medico è tenuto a dare, essendo la stessa finalizzata ad «assicurare il diritto all'autodeterminazione del paziente, il quale sarà libero di accettare o rifiutare la prestazione medica».

Nel box download il .pdf della decisione.

Marta Tomasi
Pubblicato il: Martedì, 27 Novembre 2012 - Ultima modifica: Lunedì, 03 Giugno 2019
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