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Corte di Cassazione - sez. III civ. - ord. interlocutoria 3569/2015: danno da nascita indesiderata
23 febbraio 2015

La III Sezione civile, rilevati diffusi contrasti giurisprudenziali su due questioni fondamentali, relative al c.d. danno da nascita indesiderata (che ricorre quando la gestante, a causa del mancato rilievo dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, perde la possibilità di interrompere la gravidanza), rimette gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Numero
3569
Anno
2015

L’azione era stata intrapresa da una coppia al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguiti alla nascita della figlia, affetta da sindrome di Down. Secondo i ricorrenti il danno doveva essere risarcito dai medici che avevano avviato la donna al parto, senza che fossero stati disposti approfondimenti, benché i risultati degli esami ematochimici effettuati alla sedicesima settimana avessero fornito valori non rassicuranti.

I giudici di primo e secondo grado avevano ritenuto che la ricorrente non avesse dato prova della condizione di pericolo per la sua salute fisica o psichica, la quale avrebbe rappresentato condizione legittimante il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza dopo il novantesimo giorno.

I coniugi lamentavano davanti alla Cassazione l’impossibilità di fornire tale prova, poiché la condizione di pericolo per la salute si ingenera a fronte di un completo quadro informativo che – nei fatti – era mancato.

Quanto al risarcimento danni nei confronti della figlia, i giudici di merito avevano sostenuto la non esistenza, nel nostro ordinamento di un diritto a non nascere o a non nascere se non sano. Secondo i ricorrenti, il risarcimento non coprirebbe una nascita non voluta bensì “un’esistenza difficile da portarsi dietro tutta la vita e da vivere in ragione delle proprie limitazioni psicofisiche”.

La Corte rileva contrasti giurisprudenziali su entrambi gli aspetti fondamentali per poter giungere ad una decisione:

  1. Onere probatorio in relazione alla correlazione causale fra inadempimento dei sanitari e mancato ricorso all’aborto e alla sussistenza delle condizioni per potervi legittimamente accedere. Sul punto si sono affermati due orientamenti in giurisprudenza: a) corrisponde a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata delle gravi malformazioni del feto; b) in mancanza di una preventiva dichiarazione di volontà da parte della donna di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica, il giudice è chiamato ad una valutazione caso per caso che si dovrà basare su «ulteriori elementi (di qualunque genere)» presentati dalla parte attrice; il fatto di aver richiesto di essere sottoposta ad accertamenti non sarà di per sé elemento sufficiente.
  2. Legittimazione del nato a pretendere un risarcimento a carico del medico che – col suo inadempimento – abbia privato la gestante della possibilità di accedere all’IVG. Anche su questo punto gli orientamenti dei giudici divergono: a) non esistono, nel nostro ordinamento, né un diritto a non nascere, né un diritto a non nascere se non sano; b) una volta venuto ad esistenza, il nascituro «ha diritto ad essere risarcito da parte del sanitario con riguardo al danno consistente nell’essere nato non sano, e rappresentato dell’interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando né che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata della malformazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire» (Cass. 16754/2012).

Per queste ragioni la Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Nel box download il testo dell’ordinanza.

Marta Tomasi
Pubblicato il: Lunedì, 23 Febbraio 2015 - Ultima modifica: Martedì, 07 Gennaio 2020
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