La Corte di Cassazione esclude in via generale la possibilità di riconoscere un pregiudizio biologico e relazionale configurabile come lesione di un diritto, in capo al figlio affetto da disabilità di cui i genitori non erano stati correttamente informati durante la gravidanza. Viene, così, negata l’individuazione non solo di un diritto a non nascere se non sano, ma anche di un diritto ad avere un ambiente familiare preparato ad accogliere il nuovo nato, essendo, in entrambi i casi, possibile alternativa per quest’ultimo solo quella di non nascere e non potendo integrare la vita del nato danno-conseguenza dell’illecito del medico.
Corte di Cassazione - sez. III civ. - ord. 3502/2025: mancato riconoscimento del danno da nascita indesiderata
11 febbraio 2025
Nel caso di specie, il ricorrente conviene in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, le eredi del medico in questione e la società di assicurazioni chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivanti da inadeguata e negligente prestazione professionale dello specialista, il quale - durante la gravidanza della madre del soggetto ricorrente - non avvedendosi delle gravi malformazioni congenite del nascituro, non consentì alla stessa di valutare se procedere o meno all’interruzione di gravidanza in maniera opportunamente informata.
Contro le decisioni di rigetto del Tribunale di Brindisi e della Corte d’Appello di Lecce - motivate sulla base di un asserito difetto di legittimazione dell’attore ad agire, non potendosi configurare un danno da nascita indesiderata sulla scorta della sent. 25767/2015 della Corte di Cassazione - viene presentato ricorso davanti alla Corte di Cassazione. Le ragioni presentate al riguardo sono duplici.
Il primo motivo di ricorso attiene alla “non adeguata considerazione per le finalità e le previsioni della legge 194 del 1978 e non adeguata considerazione anche per le previsioni di cui all’art. 2043 c.c. e dell’art 1223 c.c.”.
In primo luogo, infatti, viene eccepita l’irragionevolezza del riconoscimento, da parte della Corte d’Appello, del diritto al risarcimento dei danni per il mancato rilievo delle gravi malformazioni del feto nei soli confronti dei genitori e non del figlio. Siffatta scelta risulterebbe, secondo il ricorrente, in contrasto con alcune situazioni così rilevabili: il nascituro non è estraneo al contatto sociale relativo alla gestante e alla struttura sanitaria; la struttura non ha solo il dovere di provvedere all’assistenza alla madre, ma deve, altresì, adoperarsi anche alla cura nei confronti del nascituro; l’intervenuta violazione degli obblighi professionali si riverbera anche sul figlio e, per finire, quest’ultimo - pur non godendo, al momento della nascita, di piena capacità giuridica - è da ritenere, a tutti gli effetti, un soggetto di diritto e un terzo protetto rispetto al rapporto tra servizio sanitario e madre.
Peraltro, viene anche contestata, alla sentenza impugnata, la modalità di considerazione del grave inadempimento medico, che non sarebbe stato trattato in conformità alle norme che si riferiscono all’ingiustizia del danno, almeno nei confronti del nato. Sarebbe, in tal modo, stato impedito il riconoscimento del diritto dello stesso di ricevere un ristoro per le sue precarie condizioni di vita, causate anche dall’impossibilità dei genitori di esprimere ogni determinazione durante la gestazione.
Con il secondo motivo, invece, si lamenta “l’inadeguato riferimento e l’omessa considerazione per i principi di diritto in relazione alle previsioni di cui agli artt. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costituzione”. Da tali presupposti, infatti, non verrebbe in rilievo soltanto la questione in ordine al diritto a non nascere se non sano, quanto piuttosto la diversa questione attinente al diritto del nascituro a godere della propria vita senza pregiudizievoli limitazioni non solo con riferimento alla situazione lavorativa, ma anche con riferimento al normale andamento dei rapporti familiari e sociali.
La Corte, tuttavia, afferma l’insussistenza delle pretese violazioni di norme sostanziali e costituzionali e l’inammissibilità della questione, dal momento che il rinvio formulato da parte ricorrente non riuscirebbe, in realtà, a confutare quanto argomentato, in maniera conforme agli stessi precedenti della Corte di Cassazione, dai giudici di merito a proposito del diritto al risarcimento del figlio.
Il profilo della nascita in un ambiente familiare non preparato all’accudimento del minore in situazioni di particolare necessità, infatti, si rivela essere un mero “mimetismo verbale del c.d. diritto a non nascere se non sani”, il quale si scontra con l’incomparabilità tra la sofferenza e l’unica alternativa ipotizzabile, cioè quella dell'interruzione della gravidanza. Non è, del resto, possibile stabilire - come già affermato nella sent. 9251/2017 dalla stessa Corte di Cassazione - alcun nesso causale tra la condotta colposa del medico e le sofferenze psico-fisiche cui il figlio è destinato nel corso della propria vita.
Alla luce di tali considerazioni, la sezione III civile della Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Il testo completo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download.