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Corte di Cassazione - sez. I civ. - sent. 7041/2013: validità scientifica di diagnosi
6 marzo 2013

Nella controversia tra coniugi separati relativa all'affidamento del figlio minore, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio il provvedimento della Corte d'Appello per un vizio di motivazione: il giudice di merito ha adottato un provvedimento atto a prevenire l'aggravamento di una patologia, diagnosticata dal consulente tecnico d'ufficio, senza aver verificato l'attendibilità scientifica della diagnosi e della teoria alla base della stessa.

Numero
7041
Anno
2013

Riassumiamo di seguito i passaggi principali della decisione relativi al rapporto tra diritto e scienza. Il testo completo della sentenza è disponibile nel box download.

La controversia verte sull'affidamento del figlio minore della coppia.

Il minore veniva inizialmente affidato in via esclusiva alla madre; a causa di una progressiva involuzione dei rapporti con il figlio, il padre adiva il Tribunale dei minori di Venezia, attribuendone la causa alla condotta della madre che, pur riconoscendo il rifiuto del figlio ad incontrare il padre, escludeva la propria responsabilità.

Il Tribunale dei minori, in seguito all'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio, pronunciava la decadenza della potestà genitoriale della madre e l'affidamento del minore ai servizi sociale. I genitori presentarono entrambi ricorso al Tribunale dei minori, chiedendo rispettivamente la revoca del provvedimento e l'affidamento del minore al padre; il Tribunale rigettava entrambe le richieste.

Avverso tale provvedimento, il padre proponeva reclamo, sostenendo che la permanenza del minore presso la casa materna avrebbe comportato un inasprimento della situazione patologica diagnosticata dal CTU e definita come “sindrome da alienazione parentale” (PAS). Una una nuova consulenza tecnica confermava la diagnosi precedente; il Tribunale stabiliva quindi che il minore fosse affidato al padre e inserito in una struttura residenziale educativa.

La madre ricorreva in Cassazione avverso tale provvedimento.

Fra i motivi si contestava il fatto che la Corte territoriale, pur recependo integralmente le conclusioni del CTU in riferimento alla diagnosi della sindrome da alienazione parentale, non avesse esaminato le censure proposte in relazione alla validità sul piano scientifico di tale patologia e alla reale riscontrabilità della stessa sul minore; si rilevava, inoltre, la mancata verifica dell'attendibilità scientifica della teoria posta alla base della diagnosi di “sindrome da alienazione parentale”.

Nel dichiarare fondati i motivi del ricorso, la Corte di Cassazione afferma che il provvedimento adottato dalla Corte territoriale assume una valenza clinica e giuridica: l'interesse del minore viene perseguito (al di là dei principi di bigenitorialità e di ascolto del minore) attraverso una serie di misure atte a prevenire l'aggravamento della patologia. La statuizione della Corte d'Appello, sotto il profilo del percorso motivazionale che la sorregge, dipende – secondo la Cassazione – «esclusivamente da quella della valutazione clinica, posto che da una diagnosi in tesi errata non può derivare una terapia corretta».

Nel valutare nel merito le censure proposte dalla ricorrente, la Cassazione evidenzia, in primo luogo, come dal punto di vista scientifico sussistano alcune perplessità sul rigore scientifico del concetto di PAS: i giudici citano alcuni articoli recentemente comparsi su riviste scientifiche internazionali nei quali si sostiene l'assenza di fondamento scientifico della teoria. La Corte aggiunge, inoltre, che, anche volendo accedere alla validità scientifica della PAS, molti dei suoi caratteri non sarebbero riscontrabili nel caso di specie. Il fatto che il giudice di merito non abbia preso in considerazione tali critiche (che comunque erano già state rilevate nel corso del procedimento) costituisce un vizio della motivazione.

In secondo luogo, i giudici fanno riferimento al principio (disatteso dal giudice di merito) che riguarda «la necessità che il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale». Di conseguenza, «non può ritenersi che, soprattutto in ambito giudiziario, possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare».

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassando con rinvio il provvedimento impugnato.

Lucia Busatta
Pubblicato il: Mercoledì, 06 Marzo 2013 - Ultima modifica: Lunedì, 03 Giugno 2019
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