Vai menu di sezione

Corte di Cassazione – sez. I civ. – sent. 13000/2019: PMA post mortem
15 maggio 2019

L’art. 8 della L. 40/2004 è riferibile anche l’ipotesi di fecondazione omologa post mortem avvenuta mediante l’utilizzo del seme crioconservato di colui che, dopo aver prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso all’accesso alle tecniche di PMA e senza che ne risulti la successiva revoca, sia poi deceduto prima della formazione dell’embrione, avendo autorizzato l’utilizzo dei gameti anche dopo la propria morte.

Numero
13000
Anno
2019

L. è nata in Italia a seguito di fecondazione in vitro (IVF) post mortem. La madre R. (cittadina italiana), era ricorsa a tale tecnica all’estero (in Spagna), dopo il decesso del marito G.A., che aveva precedentemente acconsentito all’utilizzo dei suoi gameti.

Al momento della formazione dell’atto di nascita della bambina, R. aveva richiesto la registrazione del cognome paterno, integrando la sua dichiarazione con il consenso del partner tanto alla procreazione medicalmente assistita (PMA), che all’IVF post mortem. L’ufficiale di stato civile aveva opposto diniego.

Con decreto del 19 luglio 2017, il Tribunale di Ancona aveva respinto il ricorso di rettifica dell’atto proposto dalla madre.

Il reclamo contro tale provvedimento è stato poi respinto dalla Corte d’appello di Ancona, poiché a) al caso di specie non sarebbe applicabile la L.40/2004, che permette l’accesso alle pratiche di IVG solo a coppie di coniugi entrambi viventi; b) l’ufficiale di stato civile, non potendo operare valutazioni di validità e efficacia di atti stranieri, avrebbe correttamente applicato le regole generali del codice civile in materia di status (artt. 231-232 c.c.); c) l’interesse preminente della minore risulta tutelato alla luce della formazione dell’atto di nascita e della presenza, nell’ordinamento italiano, di strumenti processuali idonei a far constatare la paternità e ottenere l’attribuzione del cognome paterno. La Corte d’appello dichiara inoltre l’insussistenza dei presupposti per sollevare questione di costituzionalità dell’art. 232 c.c. e della L. 40/2004 artt. 5, 12 e 8, poiché la mancata previsione dell’IVF post mortem sarebbe da ricondurre alla tutela del diritto del nascituro al benessere psicofisico e del permanere dello stesso in un nucleo in cui siano presenti entrambe le figure genitoriali.

Contro questo decreto, è ricorsa in Cassazione R., prospettando:

  1. che la corte distrettuale avrebbe erroneamente attribuito all’ufficiale di stato civile un potere discrezionale e/o valutativo quanto alla veridicità delle dichiarazioni di R., permettendogli così di non procedere alla registrazione del cognome paterno nell’atto di nascita della bambina;
  2. che la corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto inapplicabile l’art. 8 della L. 40/2004. Non si ritenevano inoltre pertinenti i richiami all’art. 5 L. 40/04, che indica i requisiti soggettivi di accesso alla PMA in Italia e all’art. 12, co. 2 L. 40/04 che sancisce il divieto di applicazione dell’IVF post mortem in Italia;
  3. che la corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 232 c.c. e non la disciplina dell’art. 8 L. 40/2004;
  4. che la decisione impugnata sarebbe contraria ai principi costituzionali, eurounitari ed internazionali in materia di tutela del fanciullo e tutela dell’interesse preminente del minore.

Il primo motivo di ricorso non è stato accolto.

Quanto agli altri motivi di ricorso, la Corte di cassazione rileva come l’oggetto della controversia riguardi la possibilità di rettificare, nei sensi invocati dalla ricorrente, un atto di nascita già formato sul territorio nazionale. Si sottolinea inoltre come non venga in rilievo il tema della liceità in Italia della IVF post mortem, ma quello della corrispondenza fra la realtà del fatto come dichiarato da R. e la sua riproduzione nell’atto di nascita.

La Corte evidenzia l’estremo dinamismo del fenomeno procreativo, non dimenticando però come «da esercizio di un diritto alla procreazione [si passi necessariamente] allo svolgimento della “funzione” genitoriale» (§7.3.2.1.).

Proprio alla luce della centralità della tutela del minore, si afferma che qualsiasi riflessione in merito all’illiceità in Italia della tecnica richiamata, non potrà riflettersi in negativo sul nato, richiamando sul punto le sentenze della Corte EDU Mannesson c. Franca e Labassee c. Francia .

Quanto al problema interpretativo dei rapporti, la Corte ritiene preferibile l’impostazione secondo la quale la disciplina di attribuzione dello status nella procreazione medicalmente assistita configuri un sistema alternativo e speciale. In tal senso, non possono trovare applicazione i meccanismi generali di prova presuntiva relativi alla generazione biologica naturale presenti nel codice civile, ma si dovrà applicare la disciplina della L. 40/2004.

Deve quindi ritenersi che, una volta avvenuta la nascita, il figlio possa avere come padre colui che ha espresso il consenso ex art. 6, L. 40/2004, senza mai revocarlo, dovendosi individuare in questo preciso momento la consapevole scelta della genitorialità. La Corte riconosce infatti l’«assoluta centralità del consenso come fattore determinante la genitorialità in relazione ai nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di PMA» (§ 7.8.5.1).

In questo modo, nell’intento di tutelare il diritto del nascituro alla genitorialità, la Corte riconosce la preminenza dell’interesse del nato ad acquisire rapidamente la certezza della propria discendenza bi-genitoriale.

Si esclude quindi l’operatività della presunzione ai sensi dell’art. 232 c.c. nei casi di PMA, anche se post mortem.

La prima sezione civile sottolinea infine che, riconoscendo la paternità del premorto al concepimento, non si attribuisce alla figlia uno stato diverso da quello che, secondo previsione legale, le competerebbe. Agendo in tal modo, infatti, si rettifica un atto compilato non correttamente, così da renderlo corrispondente alla situazione reale prodotta dalla previsione legale di riferimento (L. n. 40 del 2004, art. 8), alla stregua della quale l’atto stesso doveva essere formato.

La sentenza è disponibile nel box download.

Marco Poli
Pubblicato il: Mercoledì, 15 Maggio 2019 - Ultima modifica: Lunedì, 02 Settembre 2019
torna all'inizio