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Corte Europea dei diritti dell’uomo – Goodwin v. United Kingdom: la Corte riconosce l’identità di genere quale declinazione della vita privata e familiare
11 luglio 2002

La Corte di Strasburgo, per la prima volta, riconosce l’identità di genere alla stregua di un bene giuridico tutelabile nell’alveo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ritenendo che lo Stato contraente che non preveda un procedimento per il suo riconoscimento giuridico violi l’articolo 8 della CEDU.

Anno
2002

Nel caso in esame, la ricorrente, una donna transgender già sottopostasi ad un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso, lamentava che il Regno Unito, non disponendo di una disciplina normativa che le permettesse di rettificare il sesso anagrafico dal maschile al femminile, integrasse una violazione dell’articolo 8 (diritto alla vita privata e famigliare), dell’articolo 12 (diritto al matrimonio), dell’articolo 13 (diritto ad un ricorso effettivo) e dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) della CEDU.
Più precisamente, la ricorrente sosteneva che il mancato riconoscimento del suo genere da parte dell’ordinamento inglese avesse delle ripercussioni sulla sua condizione giuridica, in particolar modo nell’ambito lavorativo, rispetto al diritto alla pensione, e in quello familiare, con riferimento alla possibilità di sposarsi con il suo compagno.

La Corte EDU ritiene che nel caso di specie lo Stato abbia integrato una violazione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dall’articolo 8 della CEDU. Infatti, la Corte precisa come la sfera personale tutelata dal suddetto articolo sia un concetto ampio, all’interno del quale debba necessariamente essere ricondotto anche il diritto di ciascun individuo di stabilire autonomamente tutti gli elementi della propria identità personale. A ciò si collega strettamente anche la violazione dell’articolo 12 della CEDU, ovvero del diritto al matrimonio, che la Corte ritiene essere stato pregiudicato nel caso in esame.

L’aspetto più rilevante della pronuncia analizzata riguarda certamente il fatto che essa rappresenta un fondamentale spartiacque nella giurisprudenza della Corte EDU in materia di identità di genere.
Difatti, prima di questo momento, la Corte ha sempre escluso la possibilità di individuare nell’ambito della Convenzione europea dei diritti dell’uomo un diritto all’identità di genere (si vedano, ad esempio, le pronunce Rees v. UK, Cossey v. UK, X, Y and Z v. UK, Sheffield and Horsham v. UK), ricostruendo in termini esclusivamente biologici – e quindi immutabili – l’attribuzione anagrafica del sesso. In Goodwin v. UK, invece, la Corte di Strasburgo, prendendo atto dell’esistenza di una tendenza alla sempre maggiore accettazione sociale delle persone transgender, evidenzia come non sussistano fattori di interesse pubblico idonei ad impedire il riconoscimento giuridico dell’identità di genere di una persona trans che si è già sottoposta ad un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso.
La Corte, quindi, non solo per la prima volta riconosce l’esistenza del diritto all’identità di genere, ma, altresì, individua i capo agli Stati contraenti un’obbligazione di natura positiva, avente ad oggetto la definizione di un procedimento mediante il quale sia possibile addivenire alla rettificazione dell’attribuzione anagrafica del sesso. La Corte, quindi, esclude che il margine di apprezzamento proprio del singolo Stato possa estendersi fino alla possibilità di non riconoscere l’identità di genere delle persone trans post-operative, limitandosi esso esclusivamente alla definizione delle modalità con cui ottenere tale riconoscimento.
Particolare accento è posto dalla Corte sulla necessità che le persone destinatarie della rettificazione di attribuzione di sesso si siano già sottoposte all’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso. Difatti, di fronte all’immutabilità del sesso biologico, l’intervento chirurgico rappresenta lo strumento che permette una quanto più possibile stabile ed efficace assimilazione del soggetto trans al genere d’elezione.

Questo orientamento, oltre ad essere confermato nella contestuale I. v. UK, resta immutato in seno alla Corte per i successivi dieci anni.

Il testo completo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download.

Maria Vittoria Izzi
Pubblicato il: Giovedì, 11 Luglio 2002 - Ultima modifica: Domenica, 01 Giugno 2025
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