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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Ricorso e intervento – M. v. Francia: protezione delle caratteristiche sessuali dei minori intersessuali
4 settembre 2018

Con il ricorso si chiede l’intervento della Corte Europea dei diritti dell’uomo riguardo interventi chirurgici e trattamenti effettuati su minori intersessuali, per far corrispondere il loro corpo ai caratteri del corpo maschile o femminile.

Numero
42821
Anno
2018

La ricorrente alla nascita non possedeva caratteri corrispondenti alla definizione tipica dei corpi maschile e femminile ed era quindi intersessuale. Nonostante la sua intersessualità non fosse un rischio per la sua salute, la ricorrente ha subito in età infantile e adolescenziale svariati interventi chirurgici, esami e trattamenti perché corrispondesse al sesso femminile: i medici, infatti, a solo un anno dalla sua nascita, consigliavano ai genitori queste procedure, da iniziare prima della scuola dell’infanzia, affinchè crescessero un figlio identificabile con il sesso femminile “senza ambiguità” e senza “attitudine intersessuale”.

Le cure sono durate molti anni e hanno comportato, tra l’altro, la castrazione bilaterale e l’assunzione di terapie ormonali a lungo termine. La valutazione psichiatrica della ricorrente, effettuata in età adulta, ha dimostrato come i vari interventi e trattamenti abbiano causato depressione e pensieri suicidi, difficoltà relazionali e affettive, incapacità di procreare, disturbo post-traumatico da stress e difficoltà di integrazione sociale ed economica.

Solo all’età di 20 anni, infatti, la ricorrente è venuta a conoscenza della sua intersessualità: prima di allora, nessuno aveva fornito informazioni adeguate, né ai genitori, convinti dai medici con informazioni incomplete e fuorvianti, né a lei stessa, che dal momento della scoperta ha interrotto le terapie ormonali, causando un invecchiamento precoce dell’organismo e identificandosi come inter-gender, prevalentemente maschile.

Per queste ragioni, nel 2015 la ricorrente ha sporto denuncia per violenza volontaria abituale, su minori, con mutilazioni o infermità permanente e si è costituita parte civile: la sua costituzione è stata tuttavia dichiarata inammissibile, in quanto sarebbe maturata nel frattempo la prescrizione, decorsa a partire dal compimento della maggiore età, nel 1995, e intervenuta quindi nel 2005.

Nonostante la ricorrente affermasse di essere venuta a conoscenza della propria storia clinica soltanto nel 2000 e non avesse potuto quindi, prima di allora, rendersi conto delle mutilazioni effettivamente subite, la sentenza di primo grado è stata confermata sia in appello (nel 2017), che in Cassazione (nel 2018).

Perciò, esauriti i mezzi di tutela giurisdizionale interna, la ricorrente chiede alla Corte EDU tutela in applicazione degli articoli 3 e 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, richiamando anche i numerosi interventi da parte degli organismi internazionali e comunitari in materia, tra i tanti:

 

INTERVENTO DI TERZI

L’“Equality Law Clinic” dell’Università di Bruxelles e lo “Human Rights Centre” dell’Università di Gand hanno presentato, in data 24 febbraio 2021, delle memorie scritte in qualità di terzi intervenienti.

L’intervento spiega il concetto tradizionale e storicamente radicato di caratteri sessuali, basato sulla concezione binaria della sessualità, esclusivamente maschile o femminile. Per questa ragione, per anni i medici hanno considerato “anormali” le persone intersessuali, che presentavano caratteri sessuali atipici e al di fuori della categorizzazione binaria. Avendo reso l’intersessualità una patologia, si sono giustificati interventi chirurgici e trattamenti su individui in salute e, il più delle volte, minorenni: in questo modo, secondo i medici, si sarebbero evitati al bambino problemi nell’età evolutiva e nella socializzazione e si sarebbe incoraggiato lo sviluppo di un’identità di genere “normale”.

Si indica alla Corte la necessità di applicare l’articolo 14 CEDU sul divieto di discriminazione, in quanto la categoria delle persone intersessuali costituisce una minoranza vulnerabile, vittima di una discriminazione strutturale che va analizzata in profondità. I trattamenti di questo tipo non risultano avere alcun fondamento medico o terapeutico e hanno motivazioni esclusivamente sociali, culturali ed estetiche. A lungo termine, inoltre, questi trattamenti risultano avere effetti negativi sia dal punto di vista fisico, che, soprattutto, in termini psicologici e possono essere qualificati come torture ai sensi dell’art. 3 CEDU, perché trattamenti inumani e degradanti.

Il testo del ricorso e dell'intervento sono disponibili nel box download.

Beatrice Carminati
Pubblicato il: Martedì, 04 Settembre 2018 - Ultima modifica: Domenica, 04 Luglio 2021
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