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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Nedescu v. Romania: il sequestro di embrioni, nel corso di procedimenti penali, contrasta con il diritto alla vita privata
16 aprile 2018

I ricorrenti lamentano una violazione dei diritti tutelati dall’art. 8 della Convenzione per non aver potuto utilizzare i loro embrioni a seguito del sequestro di questi da parte delle autorità rumene nel 2010.

Numero
ric. n. 70035/10
Anno
2018

Nel 2008 i ricorrenti, desiderando avere dei figli, hanno deciso di ricorrere alle tecniche di PMA presso una clinica privata. Dei sette embrioni ottenuti, tre di essi sono stati usati per una prima gravidanza, i restanti quattro embrioni sono stati congelati e conservati presso la clinica, con l’intento di essere utilizzati in futuro dalla signora Nedescu.

Nel luglio 2009, a seguito di alcune indagini, il DIICOT (Directorate for the Investigation of Organised Crime and Terrorism) chiuse la clinica, sequestrando tutto il materiale genetico lì presente, inclusi gli embrioni dei ricorrenti, e trasferendolo presso l’IFM (Mina Minovici Institute of Forensic Medicine).

Nel marzo 2010 i ricorrenti presentarono una richiesta alla DIICOT affinché li autorizzasse a rientrare in possesso degli embrioni, poiché intenzionati a intraprendere una nuova procedura di PMA. Nonostante la DIICOT avesse accordato il permesso di recuperare gli embrioni, la restituzione di questi venne negata poiché era necessario il permesso di trasferimento da parte della Transplant Agency, una struttura all’interno del Ministero della Salute il cui compito è di coordinare le attività volte all’ottenimento, trattamento, mantenimento e distribuzione di tessuti umani e cellule in Romania. Nel novembre dello stesso anno i signori fanno ricorso alla Court of Appeal di Bucharest, al fine di ottenere l’autorizzazione da parte della Transplant Agency a trasferire gli embrioni presso un’altra clinica.

Nel dicembre 2011 la High Court of Cassation and Justice ordinò alla Transplant Agency di restituire gli embrioni. L’anno seguente i ricorrenti vengono informati che il P.S. Hospital è stato nominato come nuovo custode legale degli embrioni, il quale comunica  ai ricorrenti che il trasferimento degli embrioni non è possibile.

I ricorrenti sostengono che il fatto di non aver potuto utilizzare i loro embrioni a causa del sequestro e la conseguente impossibilità di avere un altro figlio costituirebbe una interferenza con il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare, tutelato dall’art 8 della Convenzione.

Inoltre i ricorrenti lamentano che l’interferenza da parte delle autorità nella loro vita privata e familiare non è in accordo con la legge perché in primo luogo, la decisione della DIICOT di trasferire e depositare gli embrioni alla IFM, non autorizzata alla conservazione di materiale genetico, era illegale. In secondo luogo, il rifiuto da parte della Transplant Agency di rendere esecutiva la decisione di restituire gli embrioni non aveva alcuna base legale.

La Corte EDU deve dunque determinare se vi sia stata una interferenza con i diritti tutelati all’art 8 della Convenzione: a tal fine essa richiama i principi enunciati nella sentenza Paradiso and Campanelli v. Italy, nella quale si afferma che la nozione di “vita privata” come intesa dall’art 8 è un concetto ampio, che comprende l’integrità fisica e psichica di una persona, il diritto di coltivare relazioni umane, il diritto allo sviluppo individuale, il diritto all’autodeterminazione, nonché il rispetto della scelta di avere o non avere figli.

Nel presente caso la Corte ritiene che il progetto familiare dei ricorrenti, i quali desiderano avere un figlio tramite le tecniche di PMA, rappresenti un aspetto della loro vita privata: l’aver impedito loro di riavere gli embrioni, come ordinato dalla High Court of Cassation, è da considerarsi un’interferenza con il diritto alla vita privata.

Tale interferenza è contraria alla legge in quanto non rientrante nemmeno nelle previsioni del comma 2, dell’art 8, in quanto il modo in cui le autorità giudiziarie e amministrative coinvolte hanno interpretato e dato esecuzione alle previsioni concernenti il sequestro, il conseguente deposito e la restituzione degli embrioni risulta essere incoerente e privo del requisito della prevedibilità.

Per questi motivi la Corte ritiene che ci sia stata una violazione dell’art 8 della Convenzione e dispone circa il risarcimento dei danni spettanti ai ricorrenti. 

Nel box download il testo della sentenza. 

Veronica Lorenzato
Pubblicato il: Lunedì, 16 Aprile 2018 - Ultima modifica: Giovedì, 04 Luglio 2019
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