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Consiglio di Stato – Sent. 7343 del 24/11/2020: illegittima la disciplina che differenzia l’accesso alla PMA eterologa e omologa
24 novembre 2020

Il Consiglio di Stato con la pronuncia in oggetto ha dichiarato l’illegittimità della disciplina ragionale che, in merito all’accesso alle prestazioni di PMA a carico del servizio sanitario ragionale, stabilisce criteri differenti tra PMA eterologa e omologa. In particolare, viene censurata la disposizione che prevede un massimo di tre cicli di ovodonazione e l’età inferiore ai quarantatré anni per la donna che si sottopone a PMA eterologa.

Numero
7343
Anno
2020

La ricorrente lamentava diverse cesure. Innanzitutto, si doleva del fatto che il giudice di prime cure non avesse debitamente considerato nella sua pronuncia la presenza di studi e dati scientifici capaci di giustificare il trattamento differenziato tra le due tecniche di PMA stante le minori probabilità di successo dell’impianto allogenico in una donna di età superiore ai 43 anni. Secondo la ricorrente, infatti, la letteratura metterebbe in evidenza come l’ovodonazione, che rappresenta già di per sé un fattore di rischio, diventa significativamente rischiosa da 43 anni e altamente rischiosa a 45 anni. Deduceva inoltre che le proprie determinazioni non fossero frutto di valutazioni meramente autonome ma piuttosto l’esito di un processo di derivazione dalla disciplina prevista all’interno delle linee guida dettate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Rilevava altresì che il giudice di prime cure avesse mancato di considerare come le due tecniche di PMA richiedessero differenti esami da effettuare sui donatori, diverse tecniche di crioconservazione dei gameti e processi di selezione aggiuntivi andando così a differenziare le due tecniche soprattutto in relazione al maggiore esborso economico richiesto alla PA per garantire l’accesso a quella omologa.

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello.

Se infatti è vero che la delibera regionale in esame si basa sul “Documento sulle problematiche relative alla fecondazione assistita eterologa a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2014” adottato dalle Regioni e delle Province autonome e che all’interno di quest’ultima, e più precisamente al paragrafo riferito alla “fattibilità e aspetti finanziari della fecondazione eterologa ed omologa” sono proposti “… dei criteri di accesso a carico del SSN, che comprendono l’età della donna (fino al compimento del 43 anno) ed il numero di cicli che possono essere effettuati nelle strutture sanitarie pubbliche (massimo 3) e propone gli stessi criteri d’accesso anche per la PMA eterologa”; è anche vero che lo stesso documento stabilisce quali “Requisiti soggettivi delle coppie di pazienti che possono usufruire della donazione dei gameti” quelli già indicati all’art. 4. L. 40/04 e cioè l’età potenzialmente fertile della donna che su suggerimento delle Società Scientifiche viene fissata a >50 anni data l’alta incidenza di complicanze ostetriche nelle gravidanze ultra-cinquantennali.

In merito invece al motivo di appello prettamente finanziario la Sezione afferma come lo studio di fattibilità richiamato dalla difesa regionale non appaia idoneo a provare le ragioni della differenziazione di regime tra PMA omologa ed eterologa, presentandosi come ordinario strumento ricognitivo delle previsioni di spesa senza essere capace di presentare evidenza del distinto e più significativo profilo dei limiti di sostenibilità economica all’interno degli equilibri di bilancio regionali. «Non può dunque, un generico richiamo alle esigenze finanziari fondare, attraverso la previsione di sbarramenti rigidi di accesso alla PMA eterologa, una così significativa disparità di trattamento tra interventi che vanno considerati complementari sul piano dell’assistenza terapeutica quali species del medesimo genus» (punto 7.3)

Il Consigli di Stato rigetta il ricorso affermando come le differenze tra PMA di tipo omologo ed eterologo non siano sufficienti a giustificare una così radicale differenza di regime giuridico e chiarisce come «un intervento sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non può nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore ma deve tenere conto anche degli indizi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenza sperimentali acquisite» (punto 4.2).

Vanessa Lando
Pubblicato il: Martedì, 24 Novembre 2020 - Ultima modifica: Venerdì, 12 Aprile 2024
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