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UK - Court of Appeal (Civil Division) - Spencer v. Anderson: test DNA post-mortem
7 febbraio 2018

La Corte d’appello per l’Inghilterra e il Galles, nella sentenza Spencer v. Anderson [2016] EWHC 851 (Fam), ha confermato la pronuncia di primo grado della UK High Court of Justice, con la quale era stata data l’autorizzazione per effettuare un test di paternità sul DNA di un uomo deceduto al fine di accertare la paternità e così confermare la storia medica familiare.

Numero
[2018] EWCA Civ 100
Anno
2018

La Corte di primo grado aveva autorizzato il test sul DNA di William Anderson, deceduto nel 2012 per una forma di cancro all’intestino, con lo scopo di verificare l’eventuale rapporto di paternità nei confronti di David Spencer, il quale – nel caso in cui la paternità fosse stata confermata –avrebbe avuto un 50% di possibilità di aver ereditato una predisposizione allo sviluppo di quella patologia e avrebbe dunque iniziato una strategia di prevenzione, consistente nel sottoporsi ad una colonscopia ogni due anni.

La madre di W. Anderson, come rappresentante del defunto, impugna la sentenza di fronte alla corte d’appello, sulla base di quattro motivi, tutti respinti, fra i quali il mancato rispetto dell’art. 8 Cedu(diritto al rispetto della vita privata e familiare).

Nello specifico, la Corte concentra la propria analisi sull’ambito applicativo dell’articolo 8. In particolare nota che, nei confronti della ricorrente, la tutela consisterebbe nel mantenere privato il fatto di avere o meno un nipote. Quanto al convenuto, invece, si nota che il diritto ad un’identità (right to an identity), che include il diritto a conoscere i propri legami di parentela, è anch’esso una parte integrante del diritto al rispetto della vita privata e, di conseguenza, ricade nella tutela di cui all’art. 8.

Quando vengono in gioco interessi confliggenti ed entrambi rientranti nell’ambito di tutela offerta dalla Cedu – conclude la Corte – è necessario un bilanciamento estremamente rigoroso, che in questo caso vede prevalere il diritto del convenuto ad un’identità, sia perché rafforzato dal diritto ad avere cure mediche, sia perché l’interesse della ricorrente non sembra meritevole di una tutela così incisiva. (“It follows that 'particularly rigorous scrutiny' is called for when weighing up the competing interests of the Respondent and Appellant. In my judgment the balance falls firmly on the side of the Article 8 rights of the Respondent. This view is bolstered by that is the fact that, not only has the Respondent the right to an identity, but also that the right to medical treatment is an adjunct to both Art. 2 (Right to Life) and Art.3 (Prohibition of Torture) of the Convention”).

La Corte conclude precisando che il potere di ordinare il test è attribuito all’autorità giudiziaria da una legge, il Family Law Reform Act. Questo atto normativo, infatti, distingue tra il caso in cui sia necessario ottenere campioni di materiale biologico – in cui è richiesto il consenso della parte per poter procedere – e il caso in cui un tribunale emetta ordini per test scientifici – in cui non è necessario tale consenso. Ne consegue che, in specifiche circostanze, in cui il DNA è già disponibile e dunque il consenso della parte non è necessario per ottenere il campione, come nel caso di specie, la Corte può legittimamente autorizzare un test su quel campione di DNA, nonostante il rifiuto della parte.

Il testo della sentenza è disponibile nel box download.

Lara Mastrangelo
Pubblicato il: Mercoledì, 07 Febbraio 2018 - Ultima modifica: Martedì, 25 Giugno 2019
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