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Tribunale di Torino - sezione GIP - ord. 15 gennaio 2013: emotrasfusione a paziente testimone di Geova
15 gennaio 2013

Il GIP del Tribunale di Torino ha accolto la richiesta di archiviazione formulata dalla procura con riferimento al procedimento intrapreso nei confronti di due medici che avevano proceduto ad una emotrasfusione  su un paziente, testimone di Geova, che aveva ripetutamente espresso il proprio dissenso in relazione al trattamento.

Numero
14446/12 rg GIP
Anno
2013

Il paziente, vittima di un incidente sul lavoro, era stato ricoverato e sottoposto ad intervento chirurgico e aveva in più di un’occasione manifestato la propria fede e la volontà di non subire emotrasfusioni (volontà verbalizzata anche in cartella clinica). A seguito di alcune complicanze operatorie il paziente era stato sedato e sottoposto a plurime trasfusioni di sangue.

La denuncia, presentata un anno e mezzo dopo i fatti, aveva portato i medici ad essere indagati per i delitti di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.) e stato di incapacità procurato mediante violenza (art. 613 c.p.).

Il giudice riconosce che a fronte di un «dissenso pieno, libero e dunque valido più volte espresso» dal paziente fosse venuto meno per i medici «il "dovere" giuridico di intervenire, "perso" con la perdita della posizione di garanzia che l'ordinamento attribuisce si loro, ma solo nei limiti […] dell’art. 32 della Cost. (disposizione costituzionale che, da un lato, costituisce norma di legittimazione del trattamento sanitario ma che, d'altro canto, sancisce il diritto di libertà assoluto del paziente di rifiutare le cure, con il consequenziale venire meno, in tale ipotesi, del titolo giuridico di legittimazione del trattamento sanitario)». Anche lo stato di necessità sarebbe escluso «poiché, pur esistente un effettivo e concreto pericolo di vita del [paziente] non esiste nel nostro ordinamento un soccorso di necessità coattivo, che vada cioè oltre, superandola, la contraria volontà del paziente e che dunque facoltizzi i terzi (anche se medici) a salvare con trattamenti rifiutati (e non importa per quali motivi) chi non voglia essere salvato in quel modo (evidentemente, resta fermo l'obbligo per i sanitari di apprestare tutte quelle altre eventuali misure - diverse da quella rifiutata - suggerite da standard scientifici riconosciuti ed atte a garantire una cura adeguata o, in alternativa, un adeguato e dignitoso accudimento della persona, rimanendo ciò nei loro obblighi di assistenza sanitaria».

Nel caso concreto, tuttavia, l’archiviazione deriva dal fatto che i medici procedettero solo dopo aver ricevuto un parere richiesto alla locale procura della Repubblica con il quale si comunica ai medici che «a fronte del pericolo grave ed imminente per la vita segnalato [...] può fondatamente ritenersi sussistente lo stato di necessità che nel nostro ordinamento giuridico consente di effettuare le cure necessarie a salvaguardare la vita sia pure in presenza di opposizione da porte dell'interessato (che non è titolare del diritto di libera disposizione del proprio corpo se questa determina atti contrastanti con la salute, integrità e vita dello stesso)».

Questa erronea interpretazione fornita dall’Autorità giudiziaria renderebbe applicabile l’art. 5 c.p. secondo il quale «non può ritenersi “rimproverabile” chi versi nell’inevitabile ignoranza (alla quale è equiparato l’errore) della legge penale». Deve dunque escludersi la colpevolezza poiché, pur avendo i medici posto in essere «condotte gravemente lesive della libertà morale del paziente», l’azione è stata condotta nella «certezza soggettiva di agire per cause che esimono dalla responsabilità penale».

A questo link il testo dell’ordinanza di archiviazione (fonte: penalecontemporaneo.it).

Marta Tomasi
Pubblicato il: Martedì, 15 Gennaio 2013 - Ultima modifica: Mercoledì, 05 Giugno 2019
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