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Polonia - Tribunale costituzionale - sent. 7 ottobre 2015: obiezione di coscienza in campo medico
7 ottobre 2015

Il Tribunale costituzionale polacco ha dichiarato l'incostituzionalità della norma che obbliga il medico obiettore di coscienza a garantire la prestazione in "casi urgenti" e ad indicare al paziente la possibilità di fruire del trattamento presso un altro medico o ente sanitario.

Numero
K 12/14
Anno
2015

Il 7 ottobre 2015 il Tribunale Costituzionale polacco ha affrontato la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal Consiglio Superiore dei Medici (Naczelna Izba Lekarska). Ad aver suscitato il dubbio di costituzionalità è l'articolo 39 della legge del 5 dicembre 1996 sulle professioni di medico e dentista (USTAWA o zawodach lekarza i lekarza dentysty), norma che regola l'esercizio dell'obiezione di coscienza in campo medico.

La disposizione prevede, innanzitutto, che il medico possa rifiutare di compiere dei trattamenti sanitari contrari alla propria coscienza, eccettuati i casi di pericolo di morte, lesioni serie o gravi disturbi di salute (di cui all'articolo 30 della stessa legge). Il Tribunale ha riconosciuto la contrarietà di tale previsione con l'articolo 53 par. 1 della Costituzione, che riconosce e tutela la libertà di coscienza e religione. Questa libertà infatti viene considerata da tutelarsi a prescindere dalle norme che la disciplinano, essendo essa stessa un principio fondamentale del diritto costituzionale ed internazionale, derivante direttamente dalla tutela della dignità della persona umana (ex art. 31 par. 3 Cost.). La vaghezza della norma, inoltre, comporterebbe una violazione del principio di corretta ed adeguata legislazione, di cui all'art. 2 della Cost. polacca.

Il Tribunale dichiara, inoltre, l'illegittimità costituzionale dello stesso articolo, nella misura in cui obbliga il medico obiettore, che rifiuta di prestare un servizio, ad indicare alla donna la “reale possibilità di ottenere il servizio da un altro medico o ente sanitario". Nell'opinione dei giudici, infatti, la libertà di coscienza non tutela l’individuo solamente dal non essere costretto a compiere un attacco diretto verso il bene protetto, ma anche dal non essere obbligato ad una qualche azione che porterebbe indirettamente all’effetto considerato eticamente inaccettabile. Si tratterebbe, in sostanza, di costringere il medico a collaborare ad un fine che, in coscienza, egli considera “spregevole".

Un'ulteriore censura del Consiglio Superiore dei Medici verteva sulla seconda parte dell'articolo, nella quale viene indicato l’obbligo, per un medico che presta la propria opera nell’ambito di un contratto di lavoro, di dare preavviso per iscritto al superiore della volontà di avvalersi della clausola di coscienza per poter rifiutare il compimento di determinati trattamenti. Secondo la ricorrente, la norma violerebbe dunque - oltre ai già citati art. 2 e 53 par.1. –l’articolo 53.7, nel quale si stabilisce l’impossibilità per l’autorità pubblica di costringere l’individuo a rivelare le sue più intime convinzioni filosofiche e religiose. Secondo il Tribunale, però, si tratta di una previsione da considerare proporzionale ai fini perseguiti (l'organizzazione dei servizi sanitari finanziati con fondi pubblici) e non eccessivamente lesiva della libertà negativa di manifestazione del pensiero.

Ugualmente conforme a Costituzione è stata dichiarata l'obbligazione- posta dal medesimo articolo in capo al medico obiettore- di segnalare e motivare nella cartella clinica del paziente il proprio rifiuto di eseguire il determinato trattamento. Secondo l’interpretazione del Tribunale, di fatto, si tratterebbe di una giustificazione di tipo medico la cui obbligatorietà risponde ad un fine meramente tecnico di documentazione dello stato delle cure del paziente, che nulla ha a che vedere con una espressione del punto di vista etico-filosofico del medico.

In sintesi dunque, a seguito di questa sentenza, il medico obiettore sarà costretto ad intervenire esclusivamente nei casi di pericolo per la vita della donna e non sarà obbligato a suggerirle alcuna altra possibilità di ottenere il trattamento sanitario desiderato altrove. Dovrà pur sempre, però, indicare e giustificare il suo rifiuto in cartella clinica, nonché comunicare preventivamente per iscritto l'intenzione di esercitare l'obiezione di coscienza al proprio supervisore.

Nel box download il testo del comunicato stampa ufficiale con sintesi della sentenza in polacco e in italiano (traduzione di Anita Bevilacqua, Irene Domenici e Joanna Pstraś).

Anita Bevilacqua e Irene Domenici
Pubblicato il: Mercoledì, 07 Ottobre 2015 - Ultima modifica: Venerdì, 14 Giugno 2019
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