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Corte di Cassazione - sez. III civ. - ord. 22762/2025: rilevanza del requisito della “vivenza a carico” ai fini del riconoscimento dell’assegno previsto dall’art. 1 della legge 210/1992
6 agosto 2025

La Corte di Cassazione riconosce la rilevanza del requisito della “vivenza a carico” ai fini dell’attribuzione delle provvidenze previste dalla legge nelle ipotesi di decesso causalmente connesso con vaccinazioni o con le patologie enucleate nella L. 210/1992.

Numero
22762
Anno
2025

Viene presentato ricorso contro il rigetto della domanda di condanna del Ministero della Salute alla corresponsione dell’assegno una tantum previsto per il coniuge del soggetto deceduto per insufficienza epatica acuta correlata all’epatopatia HCV, contratta a causa delle somministrazioni di sangue cui è stato sottoposto. In particolare, la richiesta viene respinta per difetto del requisito della “vivenza a carico”, il quale non risulta né provato né allegato dalla ricorrente.

Il primo motivo di ricorso - inerente alla mancanza di assegnazione di un termine per la presentazione delle memorie da parte del giudice di prime cure (in particolare, con riferimento all’allegazione del requisito della “vivenza a carico”) - è da considerarsi inammissibile, in quanto già dedotto con i motivi del ricorso in appello.

Con il secondo e terzo motivo, invece, la sentenza viene censurata per aver ritenuto che la “vivenza a carico” costituisca un requisito del diritto alla fruizione del beneficio di cui all’art. 2, comma 3, legge 210/1992. Al proposito, vengono presentate quattro principali argomentazioni.
Con la prima, viene fatto riferimento al testo della disposizione appena citata per come modificato dalla legge 238/1997. Con tale interpolazione, infatti, la ricorrente ritiene sia stata formalmente eliminata dal testo legislativo la locuzione “a carico”, erroneamente contenuta nel testo originario.
Con la seconda argomentazione, viene evidenziato come la non necessità del detto requisito emergerebbe dal raffronto della disposizione in esame con quella di cui al successivo comma 4, il quale - nell’ipotesi in cui la persona sia deceduta in età minore - individua gli aventi diritto nei genitori o in chi esercita la responsabilità parentale.
A seguito, la ricorrente sottolinea la natura e la funzione dell’istituto della “reversibilità” quale istituto a carattere non assistenziale, ma unicamente previdenziale. Conseguentemente, dovrebbe essere proposta un’interpretazione restrittiva della locuzione “soggetti a carico” contenuta nel testo originario della norma, in quanto riferita alle sole categorie di legittimari specificamente individuati.
In ultimo, nella quarta argomentazione, viene sostenuta l’integrazione del requisito della “vivenza a carico” attraverso la prova portata in giudizio della mera convivenza tra la persona deceduta e il legittimario.

Anche questi motivi vengono dichiarati dalla Corte di Cassazione inammissibili, dal momento che la legge 210/1992 deve essere interpretata - da giurisprudenza costante e maggioritaria - nel senso di considerare l’assegno mensile reversibile quale alternativa dell’assegno una tantum nelle ipotesi di decesso del danneggiato causalmente connesso con vaccinazioni o patologie previste dal medesimo testo legislativo. Alla luce di questa alternatività tra le due provvidenze, per la concessione di entrambe devono essere integrate le medesime condizioni, di cui a seguito.

Innanzitutto, a norma del comma 3 dell’art. 2 L. 210/1992, questi sussidi sono funzionalmente distinti dall’indennizzo di cui al comma 1: se, infatti, quest’ultimo ha una funzione riparativa; gli assegni hanno uno scopo pubblicistico-assistenziale di ristoro, anche economico, garantito dall’ordinamento agli stretti familiari del congiunto che, per il proprio sostentamento, contavano sul reddito della persona deceduta.

In secondo luogo - al contrario di quanto sostenuto nel ricorso - il requisito della “vivenza a carico” del de cuius non è stato espunto dalle modificazioni intervenute nel testo di legge (peraltro, apportato con la L. 548/1996 e non 238/1997).
È stata mantenuta, infatti, nella riscrittura del secondo periodo del comma 3, la locuzione “soggetti a carico”, della quale si è unicamente chiarita la portata, precisando che la situazione di non autosufficienza economica del congiunto superstite e la sua dipendenza dal reddito della persona deceduta può anche essere parziale.

Allo stesso modo, non può nemmeno condividersi l’opinione presentata circa la natura risarcitoria delle provvidenze di cui al comma 3 art. 2 L. 210/1992, dal momento che rimane necessario che il sostentamento della famiglia si basi - almeno parzialmente - sul reddito del de cuius.

Infine, la Corte esclude la possibilità di ritenere il requisito della “vivenza a carico” insito nel mero fatto della convivenza, giacché la sussistenza degli obblighi di assistenza, collaborazione e coabitazione non è, di per sé, bastevole a certificare una situazione di non autosufficienza dei mezzi di sussistenza autonoma di ciascun coniuge rispetto all’altro.

Anche il quarto motivo di ricorso - con cui la ricorrente ha censurato la sentenza per aver escluso la possibilità di attribuzione di rilievo, ai fini della concreta allegazione e prova del requisito della “vivenza a carico”, al certificato di residenza e alla circostanza di coabitazione - è dichiarato inammissibile. Oltre all’inefficienza probatoria di tali fatti, la Corte di Cassazione rileva, altresì, come la valutazione delle risultanze istruttorie e la ricostruzione delle circostanze di fatto appartenga ad un potere riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.

Il ricorso, quindi, viene respinto nella sua interezza.

Il testo completo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download.

Agata Borghi
Pubblicato il: Mercoledì, 06 Agosto 2025 - Ultima modifica: Martedì, 18 Novembre 2025
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