La Corte di Cassazione accoglie il ricorso avverso un decreto del Tribunale per i Minori con cui si era disposta l’interruzione di ogni rapporto tra madre e figlio, in ragione della mancata considerazione delle conseguenze di tale disposizione sulla salute psicofisica del minore, della mancata audizione dello stesso e della a-scientificità delle tesi delle c.t.u. inerenti la c.d. sindrome da alienazione parentale (PAS).
Corte di Cassazione - sez. I civ. - sent. 9691/2022: disconoscimento della scientificità della c.d. sindrome da alienazione parentale
24 marzo 2022
La ricorrente M.L. presenta ricorso davanti alla Corte di Cassazione contro il decreto emesso il 4.6.2021 dal Tribunale per i Minorenni di Roma, con cui si è disposta la sua decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio minore A.L., l’interruzione di qualsiasi rapporto madre-figlio, l'immediato allontanamento del minore dal contesto familiare ed il suo collocamento in idonea casa-famiglia. Le suddette statuizioni sarebbero state motivate e giustificate, secondo il Tribunale, dalla necessità non più procrastinabile di poter instaurare legittimi rapporti genitoriali tra il figlio ed il padre. Questi, infatti, non avrebbero potuto esercitare alcun tipo di continuativa frequentazione a causa della convivenza del minore con la madre e dell’opposizione esercitata dalla stessa nei confronti delle disposizioni date dalla Corte di Appello, già nel 2020, al fine di reinserire la figura paterna nel contesto familiare.
La Corte ritiene infondato il primo motivo di ricorso - inerente alla formazione della sezione della Corte d’appello giudicante - e inammissibili tutte le altre ragioni di contesa, fatta eccezione dei motivi terzo, quarto, sesto, settimo, ottavo e nono, che tratta congiuntamente.
In particolare, con tali questioni la ricorrente censura il decreto impugnato assumendo che la decisione di allontanare il minore dalla madre non risponda in alcun modo all'esigenza di realizzare il miglior interesse del figlio.
Occorre, dunque, verificare se le ragioni poste a sostegno del decreto impugnato rispondano in maniera efficace alla finalità di realizzare il diritto alla bigenitorialità (riconosciuto anche dalla Corte EDU) e, dunque, il miglior interesse del minore che costituisce la ratio sottesa ad ogni statuizione sull'affidamento dei minori e se, in ogni caso, la legittima e doverosa realizzazione della stessa bigenitorialità possa o meno incontrare un limite nell'esigenza di evitare un trauma allo sviluppo fisico-cognitivo del minore, rappresentato dall'ablazione totale e definitiva della figura materna dalla sua vita.
Infatti, l'accertamento della violazione del diritto del padre alla bigenitorialità, nonché la conseguente necessità di garantire l'attuazione del diritto, non possono comportare automaticamente, ipso facto, la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale, quale misura estrema che recide ineluttabilmente ogni rapporto, giuridico, morale ed affettivo, con il figlio.
Al riguardo, la Corte ritiene sia opportuno evidenziare che il diritto alla bigenitorialità disciplinato dalle norme codicistiche è, anzitutto, un diritto del minore prima ancora dei genitori. L'interprete è chiamato, dunque, ad una delicata interpretazione ermeneutica di bilanciamento la cui specialità consiste nel predicare in ogni caso la preminenza del diritto del minore e la recessività dei diritti che con esso possano collidere, anche se si dovesse trattare del diritto del padre al consolidamento di un rapporto continuativo con il figlio.
In proposito, il decreto impugnato risulta manchevole di ogni considerazione rispetto alle possibili ripercussioni sull'assetto cognitivo del minore di una brusca e definitiva sottrazione dello stesso dalla relazione familiare con la madre, con la lacerazione di ogni consuetudine di vita.
Si riscontra, infatti, una contradictio in terminis, nelle parti in cui, da un lato, vengono recepite le conclusioni delle c.t.u. sui danni che il minore subirebbe per la mancanza di un soddisfacente rapporto con il padre, e dall'altro si omette interamente la questione dei prevedibili traumi che lo stesso minore patirebbe per un abbandono della madre e per il collocamento in una casa-famiglia.
A seguito di tali valutazioni, la Corte di Cassazione evidenzia come - al fine della tutela del diritto alla bigenitorialità - sia necessario provare non se la condotta abbia o meno provocato una PAS, quanto se sia stata tale da aver leso in modo grave il rapporto tra il figlio e l'altro genitore, sino al peggior risultato ipotizzabile, quello di renderlo difficilmente recuperabile o del tutto irrecuperabile.
Le valutazioni strettamente psicologiche espresse dai c.t.u., presentano, in merito, perplessità interpretative poiché fanno riferimento ad un concetto di abuso psicologico non meglio determinato, che tende a richiamare la teorica della sindrome di alienazione parentale di origine pseudo-scientifica ed insuscettibile di essere descritta secondo i parametri diagnostici della scienza medica.
Tale classificazione della condotta, sebbene scientificamente inconsistente, ha prodotto il risultato di correlare il supposto abuso psicologico al grave pregiudizio per il figlio, di cui all'art. 330 c.c.. A partire da questa sola correlazione - e in assenza di qualsiasi ulteriore riscontro in merito ad una soggezione esercitata dalla figura materna sul minore tale da negare a quest’ultimo qualsiasi autonomo processo decisionale - il Tribunale ha concluso che il rifiuto del figlio d'incontrare il padre sia, in realtà, frutto di una condotta di lealtà del minore verso la madre.
Non può essere sottaciuta, in ultimo, la mancanza di ogni audizione del minore infradodicenne nel procedimento che ha condotto al provvedimento impugnato. Tale ottemperanza, infatti, rappresenta metodo unico e non sostituibile di tutela del minore.
A riprova di ciò, la Corte riporta la disciplina inerente al procedimento di divorzio, in cui l’ascolto del figlio è previsto a pena di nullità.
Per tali ragioni, la Corte accoglie i motivi terzo, quarto, sesto, settimo, ottavo e nono.
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