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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Rappaz v. Svizzera: alimentazione forzata di un detenuto
26 marzo 2013

Nel caso Rappaz c. Svizzera la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sull’ammissibilità dell’alimentazione forzata nei confronti di un detenuto in sciopero della fame.

In particolare la Corte ha dichiarato inammissibile, in quanto manifestamente infondato, il ricorso del sig. Rappaz, il quale, avendo intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro la condanna ricevuta e per chiedere la legalizzazione della cannabis in Svizzera, aveva adito la Corte lamentando la violazione degli artt. 2 e 3 Cedu da parte delle autorità svizzere.

Numero
ric. n. 73175/10
Anno
2013

Nel caso di specie, le autorità cantonali, preso atto della serietà delle condizioni di salute del convenuto, lo avevano in un primo momento scarcerato per una quindicina di giorni in applicazione dell’art. 92 del codice penale, ai sensi del quale “l’esecuzione di pene e misure può essere interrotta per gravi motivi”.

Una volta riportato in carcere egli riprese però lo sciopero della fame e della sete e venne quindi trasferito presso l’ospedale universitario di Ginevra per scontare la pena sotto sorveglianza medica. Durante il ricovero egli predispose delle direttive anticipate contenenti espressamente il rifiuto dei trattamenti di nutrizione e idratazione artificiale.

A seguito del rigetto della sua domanda di sospensione della pena da parte delle autorità cantonali, il sig. Rappaz si rivolse al tribunale cantonale di Valais e poi al Tribunale federale sostenendo che la propria condizione fosse assimilabile a quella di un detenuto a rischio di suicidio e come tale incompatibile con la detenzione in carcere.

Nel respingere la domanda di scarcerazione il Tribunale federale, pur ammettendo che le gravi condizioni di salute del sig. Rappaz potessero rappresentare un grave motivo per l’interruzione della pena ai sensi dell’art. 92 del codice penale, riconobbe un ampio margine di apprezzamento alle autorità cantonali, ferma restando l’assenza di abuso di potere. Abuso di potere che nel caso di specie non venne ravvisato.

Per quanto più nello specifico attiene all’alimentazione forzata, secondo il Tribunale la scelta di imporre un trattamento medico adeguato piuttosto che procedere alla scarcerazione trovava giustificazione nell’esigenza di preservare, a fronte di un detenuto in sciopero della fame, la credibilità della giustizia penale svizzera.

Inoltre, benché l’imposizione di tali trattamenti fosse considerata come una lesione della libertà personale e di espressione del sig. Rappaz, nel caso di specie, il Tribunale ritenne che l’alimentazione forzata fosse giustificabile sulla base all’art. 36 della Costituzione federale svizzera che permette, anche attraverso uno strumento diverso da quello legislativo, “(l)e restrizioni dei diritti fondamentali  … ordinate in caso di pericolo grave, immediato e non altrimenti evitabile”.

L’esistenza di direttive dell’Accademia svizzera delle scienze mediche che si oppongono all’alimentazione e idratazione forzate non impedirebbero, secondo il Tribunale federale, alle autorità cantonali di imporre ai medici di procedere in tal senso, poiché da tali direttive non discenderebbero vere e proprie norme giuridiche.

A seguito di tale sentenza e della ripresa dello sciopero della fame da parte del sig. Rappaz, le autorità svizzere imposero formalmente ai medici di procedere all’alimentazione forzata (della quale però poi non ci fu concretamente bisogno), nonostante in occasione di un ulteriore ricovero il sig. Rappaz avesse nuovamente predisposto delle direttive anticipate di senso opposto e nonostante i medici avessero dichiarato di voler rispettare la scelta consapevole del paziente.

Su tali questioni è stata chiamata a pronunciarsi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Secondo il ricorrente le autorità svizzere, negando la scarcerazione nonostante lo sciopero della fame, avrebbero infatti messo in pericolo la sua vita (art. 2 Cedu) e tale rifiuto avrebbe costituito un trattamento inumano e degradante (art.3 Cedu).

Per quanto attiene al primo aspetto, la questione riguardava sia il rigetto della domanda di interruzione dell’esecuzione della pena in ragione della possibilità di ricorrere all’alimentazione forzata, sia la praticabilità di tale alternativa. Il ricorrente riteneva infatti che l’alimentazione forzata fosse impraticabile de jure (assenza di una base giuridica) e de facto (rifiuto dei medici per motivi deontologici) e che, pertanto, l’unica alternativa possibile fosse quella della scarcerazione.

Nella sentenza del 26 marzo 2013 la Corte ha rilevato innanzitutto come lo sciopero della fame intrapreso dal detenuto non fosse motivato dalla volontà di mettere fine alla propria esistenza, bensì dalla volontà di fare pressione sulla autorità nazionali. Nel caso di specie non si trattava quindi di valutare se le autorità svizzere avessero violato il diritto del sig. Rappaz a decidere in che modo e in che momento porre fine alla propria vita, come avverrebbe invece nell’ambito di applicazione dell’art. 8 della Cedu, la cui rilevanza viene quindi espressamente esclusa.

La Corte afferma inoltre che « lorsqu’un détenu entame une grève de la faim, les conséquences que cela peut avoir sur son état de santé ne sauraient entraîner une violation de la Convention à partir du moment où les autorités nationales on dûment examiné et géré la situation. Ceci est particulièrement vrai lorsque l’intéressé persiste dans son refus de s’alimenter, malgré la dégradation de son état de santé ».

Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che le autorità svizzere avessero seguito adeguatamente l'evolversi della situazione, intervenendo anche con diverse misure volte proprio a tutelare la vita del sig. Rappaz e che pertanto dovesse escludersi la violazione dell’art. 2.

Il ricorso venne respinto inoltre anche sotto il profilo dell’articolo 3.

Con riferimento all’alimentazione forzata di un detenuto in sciopero della fame la Corte ha ricordato innanzitutto che «s’agissant d’une mesure dictée par une nécessité thérapeutique selon les conceptions médicales établies, elle ne saurait en principe passer pour inhumaine ou dégradante».

Nello specifico la Corte ha inoltre ritenuto che nel caso del sig. Rappaz fossero rispettate le condizioni necessarie per legittimare tale pratica e, in particolare, un’accertata necessità medica, la sussistenza digaranzie procedurali adeguate e modalità di esecuzione tali da non integrare trattamenti vietati ai sensi dell’art. 3 Cedu.

Per quanto riguarda le direttive dell’Accademia svizzera delle scienze mediche, la Corte, pur riconoscendo come esse si inseriscano in una tendenza affermatasi a livello internazionale e basata sul rispetto della volontà espressa dal detenuto in sciopero della fame, si è richiamata a quanto affermato dal Tribunale federale con riferimento all’interpretazione del diritto interno.

A questo link il testo in francese delle sentenza.

Elisabetta Pulice
Pubblicato il: Martedì, 26 Marzo 2013 - Ultima modifica: Lunedì, 24 Giugno 2019
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