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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – I.B. v. Grecia: il licenziamento di un lavoratore affetto da HIV sulla base del suo stato di salute viola la CEDU
3 gennaio 2014

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha accolto il ricorso di I.B., cittadino greco licenziato per il solo fatto di essere HIV positivo, e ha dichiarato all’unanimità che il licenziamento di un lavoratore affetto da HIV esclusivamente basato sul suo stato di salute costituisce una violazione degli artt. 8 e 14 della CEDU.

Numero
ric. n. 522/10
Anno
2014

Si tratta della prima volta in cui la Corte EDU emana una decisione con diretto riferimento alla discriminazione subita dai soggetti affetti da HIV (quindi solo per il loro stato di salute) sul luogo di lavoro.

Nel caso di specie, il signor I.B., dipendente di un’impresa dal 2001, scoprì nel 2005 di essere affetto da HIV. Alcuni colleghi ai quali aveva comunicato il suo stato di salute inviarono una lettera alla datrice di lavoro (S.K.) chiedendone il licenziamento. La datrice di lavoro, nel tentativo di risolvere il problema e rassicurare i dipendenti, adottò alcuni provvedimenti tra cui l’invito di un medico occupazionale per informare i lavoratori sulla malattia e sui rischi a essa correlati. Nonostante i suoi tentativi, nel febbraio del 2005 metà del personale chiese nuovamente alla datrice di lavoro di licenziare il signor I.B. «in order to “preserve their health and their right to work”» (paragrafo 10), in assenza dei quali l’armoniosa atmosfera di lavoro nell’impresa si sarebbe potuta deteriorare. Di conseguenza con l’obiettivo di preservare il buon ed efficiente funzionamento dell’impresa la datrice di lavoro decise di licenziare il signor I.B..

Sia la Athens Court of First Instance sia la Court of Appeal, nonostante avessero ritenuto discriminatorio e illegittimo il licenziamento subito da I.B. affermando che «the sole ground for terminating the contract had been the applicant’s illness» (paragrafo 15) e che «the fact that S.K. “had given in to the demands of her employees, dismissed the applicant and terminated his contract could not be justified on grounds of good faith or the employer’s interests within the proper meaning of the term”» (paragrafo 20), rigettarono la richiesta del ricorrente di essere reintegrato nel suo posto di lavoro. Per questo motivo I.B. fece ricorso in Cassazione. La Corte però dichiarò che «(the) termination of an employment contract was not unfair if it was justified by the employer’s interests “in the proper sense of the term”, such as the restoration of peaceful working relations between employees and the smooth operation of the company where these were liable to be disrupted by maintaining the dismissed employee in his or her post» (paragrafo 24) e di conseguenza affermò che il licenziamento in questione non poteva essere considerato illegittimo.

Il signor I.B. fece dunque ricorso contro la Repubblica Ellenica davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lamentando che il suo licenziamento dovesse considerarsi discriminatorio in quanto «the need to preserve a good working environment in the company» su cui si era basato «was not a valid basis for differential treatment compatible with Article 14». Inoltre egli lamentava «a violation of his right to private life» (art. 8 CEDU) in quanto «the Court of Cassation had ruled that his dismiss on the ground of his HIV status had been lawful» (paragrafo 48).

I giudici della Corte hanno quindi innanzitutto affrontato la questione dell’applicabilità degli artt. 8 e 14 della CEDU.

Per fondare l’applicabilità del primo articolo, i giudici hanno ricordato come «the notion of “private life” is a broad concept» (paragrafo 67) già utilizzato in casi simili e come, in base alla giurisprudenza della Corte EDU, rientrino nel concetto di vita privata e familiare protetto dall’Art. 8 sia la materia del licenziamento sia situazioni che coinvolgono soggetti affetti da HIV. Inoltre, smentendo l’argomento utilizzato dal governo ellenico, i giudici hanno dichiarato che, sebbene la violazione in questione non fosse ascrivibile a un intervento diretto dello Stato, le autorità nazionali sono ugualmente responsabili poiché «a failure on their part to protect his private sphere agianst the interference by his employer» rappresenta una violazione dell’Art. 8 (paragrafo 68).

Dopo aver stabilito l’applicabilità dell’Articolo 14 riaffermando quanto già espresso nel caso Kiyutin e cioè che «a person’s health status, including such conditions as HIV infection, should be covered – either as a form of disability or in the same way a a disability – by the term “other status” in the text of the Article 14 of the Convention» (paragrafo 73), la Corte si è pronunciata sul fatto che il ricorrente fosse stato o meno vittima di discriminazione per il suo stato di salute. In particolare, i giudici, ricordando che «discrimination means treating differently, without an objective and reasonable justification, persons in analogous, or relevantly similar, situations» (paragrafo 75), hanno ribadito come fosse chiaro che «the applicant was treated less favourably than any of his colleagues and that this was solely because of his health status» (paragrafo 77) ma anche che le autorità nazionali non avessero addotto nessuna objective and reasonable justification. Nel caso questione, infatti, come sottolineato dalla Corte a partire dal caso Kiyutin, «the State’s margin of appreciation was substantially narrower and it must have very weighty reasons for imposing the restrictions in question» (paragrafo 79) poiché le restrizioni ai diritti di cui agli articoli 8 e 14 della CEDU coinvolgono un individuo che per il suo status di soggetto HIV-positivo appartiene ad un c.d. vulnerable group, quindi a un gruppo di persone che nel tempo sono state già considerevolmente discriminate ed emarginante dalla società proprio per il proprio stato di salute. Tale considerazione della Corte era inoltre confermata dal fatto che da un’analisi comparativa emergesse con chiarezza una «general tendency towards protecting such persons from any discrimination in the workplace» (paragrafo 83).

Per la Corte EDU, inoltre, la Corte di Cassazione non aveva adeguatamente spiegato come gli interessi dei dipendenti potessero prevalere su quelli del ricorrente e non aveva bilanciato i diritti delle controparti in conformità a quanto richiesto dalla Convenzione (paragrafo 90).

Per questi motivi i giudici conclusero affermando che «the applicant was discriminated against on the basis of his health, in breach of Article 14 of the Convention taken in conjunction with Article 8» (paragrafo 91).

Il testo della decisione è reperibile nel box dowload.

Elena Scalcon
Pubblicato il: Venerdì, 03 Gennaio 2014 - Ultima modifica: Lunedì, 24 Giugno 2019
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