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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – D. e altri v. Belgio: la Convenzione non esclude che l’ingresso di bambini nati da surrogata possa essere subordinato a previ accertamenti
8 luglio 2014

La Corte ha escluso che la Convenzione imponga agli Stati di autorizzare l’ingresso nel proprio territorio di bambini nati da procedimenti di maternità surrogata, senza la possibilità per le autorità nazionali di compiere i dovuti accertamenti.

Numero
ric. n. 29176/13
Anno
2014

Una coppia di coniugi residenti in Belgio si era recata in Ucraina per accedere alle tecniche di maternità surrogata. Dopo la nascita del bambino, nel rispetto della legge di quello Stato, le autorità ucraine avevano prodotto un certificato di nascita che riportava i nomi dei genitori committenti, senza fare menzione della procedura di surrogazione.

I genitori avevano dunque richiesto all’ambasciata belga a Kiev di ottenere un passaporto per il bambino; tale richiesta era stata negata perché gli istanti non erano stati in grado di produrre un certificato di gravidanza o di ospedalizzazione della madre committente.

A fronte di tale rigetto i genitori committenti avevano proposto ricorso davanti a un giudice di prima istanza in Belgio al fine di ottenere un ordine rivolto alle autorità amministrative affinché queste emanassero un titolo di viaggio per il bambino. Quasi contemporaneamente un altro ricorso veniva instaurato per ottenere il riconoscimento in Belgio del certificato di nascita ucraino (ancora pendente).

Il primo ricorso era stato rigettato per due ragioni principali:

-        il diritto belga riconosce come madre la donna che ha partorito il bambino;

-        in riferimento al padre, i risultati del test del DNA effettuato su internet non costituivano, secondo il giudice di primo grado, una prova sufficiente, poiché non era stata certificata in alcun modo la provenienza dei campioni analizzati.

Scaduto il periodo di legittima permanenza, i genitori erano stati costretti a rientrare in Belgio e a lasciare il bambino in Ucraina.

La decisione di primo grado veniva rovesciata dalla corte d’appello belga che aveva ritenuto che le integrazioni prodotte dai ricorrenti fossero sufficienti a provare la verosimiglianza della paternità del primo ricorrente e che dunque un corretto bilanciamento di interessi imponesse la considerazione del diritto del padre a intraprendere una vita familiare con il bambino e il corrispondente diritto del bambino a vivere con il padre. La Corte ordinava dunque alle autorità belghe di produrre un documento di viaggio per il bambino che, nell’agosto 2013, rientra in Belgio con i genitori.

Nel frattempo, però, questi avevano presentato ricorso alla Corte EDU lamentando che il rifiuto delle autorità del Belgio di emanare un documento di viaggio per il bambino e la conseguente separazione del bambino dai genitori avesse comportato una violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione.

La Corte rileva anzi tutto le intervenute modifiche nelle circostanze di fatto e, in particolare, l’intervenuta emanazione del lascia passare per il bambino e il suo arrivo in Belgio. La Corte ritiene dunque cessata la materia del contendere in riferimento alla questione relativa all’emanazione del tiolo di viaggio.

Quanto alla separazione fra genitori committenti e bambino e alla possibile lesione dell’art. 8, la Corte riconosce che il rifiuto delle autorità del Belgio di produrre un documento di viaggio per il bambino si sia tradotto in una interferenza con il diritto dei ricorrenti al rispetto della vita privata. Tale interferenza, tuttavia, sarebbe stata imposta dalla legge e finalizzata alla tutela di scopi legittimi quali la prevenzione del crimine, e in particolare la tratta degli esseri umani, e la protezione dei diritti della madre surrogata e del bambino.

Quanto alla necessarietà dell’interferenza “in una società democratica”, la Corte conferma l’ampio margine di discrezionalità statale, in particolare in materie che, come quella oggetto di discussione, attengono a questioni eticamente o moralmente sensibili.

La Convenzione non può imporre agli Stati di autorizzare l’ingresso nel territorio nazionale di bambini nati da una maternità surrogata, senza la possibilità per le autorità nazionali di compiere i dovuti accertamenti.

La Corte considera che la coppia era a conoscenza del procedimento che avrebbe dovuto essere seguito, essendo stati consigliati da legali in Belgio e in Ucraina, che non il Belgio non poteva essere considerato responsabile per l’impossibilità dei genitori di rimanere in Ucraina per tutta la durata delle procedure, che il tempo intercorso non poteva essere considerato irragionevole e che la sua estensione era, almeno in parte, imputabile ai ricorrenti stessi che non avevano prodotto da principio documentazione idonea a provare il legame genetico con il bambino.

La Corte rigetta il ricorso poiché il Belgio avrebbe agito nei limiti del margine di apprezzamento di cui gode.

Nel box download il testo della decisione in francese.

Marta Tomasi
Pubblicato il: Martedì, 08 Luglio 2014 - Ultima modifica: Lunedì, 10 Giugno 2019
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