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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Calvi e altri c. Italia: abuso dell’istituto dell’amministrazione di sostegno nei confronti di un soggetto vulnerabile
6 luglio 2023

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato la violazione dell’art. 8 CEDU da parte dell’Italia, per aver adottato, nei confronti di un soggetto vulnerabile, misure restrittive della libertà personale non adeguate e non proporzionali rispetto ai fini perseguiti, eccedendo il margine di apprezzamento riconosciutole dalla Convenzione.

Numero
46412/21
Anno
2023

Il caso riguarda G.C., un uomo che dal 2017 si trova sottoposto ad amministrazione di sostegno, perché giudicato incapace di curare i suoi interessi a causa della sua dissolutezza e del disturbo ossessivo compulsivo della personalità di cui soffre. Nel 2020 l’amministratore di G.C. ottiene l’autorizzazione del giudice tutelare al fine di collocare l’uomo presso una casa di cura. Successivamente alla messa in onda di un servizio televisivo concernente la condizione di G.C, l’amministratore decide di impedire le comunicazioni telefoniche e le visite tra l’uomo e soggetti terzi, se non su sua autorizzazione. In tale contesto, il cugino dell’uomo, A.C., si vede negata, prima dall’amministratore e poi dal giudice tutelare, la possibilità di fare visita al famigliare.

Per questo motivo A.C. decide di sollevare un ricorso innanzi la Corte EDU per proprio conto e in nome e per conto del cugino. Il primo ricorrente, A.C., ritiene che sia configurabile una violazione degli artt. 5 e 8 CEDU, dato che non gli è permesso di contattare il cugino, mentre il secondo ricorrente, G.C., lamenta la violazione della sua vita privata e familiare a seguito del divieto di ritornare a casa e l’impossibilità di ricevere visite senza il consenso dell’amministratore.

Sebbene i ricorrenti abbiano richiamato due parametri della Convenzione, i giudici di Strasburgo stabiliscono che la materia del contendere rientra unicamente nell’ambito di applicazione dell’art. 8.

Sebbene il Governo italiano eccepisca la mancanza di legittimazione ad agire del primo ricorrente, in quanto carente di un’autorizzazione espressa ad agire da parte della presunta vittima, la Corte ricorda che i criteri per la presentazione dei ricorsi presso la Corte EDU non necessariamente coincidono con le norme nazionali, portatrici di fini diversi rispetto a quelli dell’art. 34 CEDU. Tale articolo consente a terzi, che non siano titolari di interessi confliggenti, di agire in nome e per conto di un soggetto vulnerabile a cui non è garantita una tutela effettiva dei suoi diritti (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Lambert v. Francia). Nonostante sia necessaria un’autorizzazione sottoscritta dalla presunta vittima, la Corte afferma che, qualora si prospetti la violazione degli artt. 2, 3, o 8 CEDU, la mancanza di tale presupposto non osta la presentazione del ricorso, posto che debbano sempre essere tenuti in conto il grado di vulnerabilità del rappresentato e la relazione tra quest’ultimo e il rappresentate.

Nel caso di specie, essendo il rappresentato soggetto ad amministrazione di sostegno, dove l’amministratore ha il potere di sostituirsi a lui in giudizio, e poiché la presunta vittima proprio di tale condizione si duole, e non essendoci nessun conflitto di interesse del primo ricorrente, la Corte ritiene infondata l’eccezione del Governo italiano e riconosce a quest’ultimo la legittimazione ad agire in qualità di rappresentante, dal momento che il ricorso riguarda l’art. 8 CEDU.

La Corte accoglie poi l’eccezione presentata dal Governo italiano, in base alla quale il primo ricorrente non ha esaurito tutte le vie interne. Egli, infatti, avrebbe preliminarmente potuto e dovuto proporre ricorso avverso la sentenza del giudice tutelare che gli negava di visitare il cugino. Il ricorso del primo ricorrente è quindi respinto.

Per quanto concerne la doglianza del secondo ricorrente, la Corte rileva un’ingerenza da parte dello Stato nella vita privata e familiare dell’uomo, che potrebbe non costituire una violazione della Convenzione solo qualora sia prevista dalla legge, persegua scopi legittimi, e sia necessaria in una società democratica.

Nel caso di specie, l’amministrazione di sostegno è uno strumento previsto dal Codice civile italiano, e il fine di tutelare i soggetti vulnerabili da eventuali danni di natura patrimoniale e personale è legittimo. Malgrado ciò, la privazione della capacità giuridica è una questione grave che coinvolge un aspetto essenziale per la persona umana, e dovrebbe essere una misura eccezionale, ragion per cui il margine di apprezzamento degli Stati in questo ambito è ristretto. La Corte ritiene quindi necessario verificare sia se vi sono garanzie procedurali a tutela dell’individuo, sia l’equità del procedimento che ha portato all’adozione della decisione restrittiva della capacità giuridica del ricorrente.

La decisione di sottoporre G.C. ad amministrazione di sostegno non deriva da un accertamento medico delle sue condizioni mentali, e l’ammissione nella casa di cura è avvenuta su richiesta dell’amministratore senza considerare la volontà del soggetto coinvolto, quando invece, a detta della Corte la restrizione della libertà personale di un individuo non dovrebbe essere una misura automatica, ma ponderata anche sulla base della volontà del soggetto, se capace di esprimerla. Inoltre, risulta che il giudice nazionale non ha sufficientemente tutelato la vita interpersonale del ricorrente, respingendo tutte le richieste di visita da parte dei familiari, e, nonostante la permanenza nella casa di cura fosse provvisoria, il giudice non ha favorito le condizioni per un graduale ritorno alla normalità, come raccomandato dagli esperti. La Corte, pertanto, osserva che le Autorità italiane hanno abusivamente utilizzato l’istituto dell’amministrazione di sostegno per realizzare finalità proprie di un trattamento sanitario obbligatorio (TSO).

In aggiunta, non sembrano esserci procedure a garanzia dell’individuo contro gli abusi di questo strumento, e l’istituto stesso è stato criticato dal Comitato sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD), il quale ha raccomandato la modifica delle previsioni inerenti alla sostituzione dell’amministratore nel processo decisionale del soggetto tutelato, poiché sarebbe più opportuno favorire un modello di assistenza nella decisione.

Per tutti questi motivi, e anche alla luce delle previsioni della Carta Sociale Europea, secondo la quale lo Stato deve impedire l’isolamento delle persone più vulnerabili o non autosufficienti, promuovendo invece la loro partecipazione sociale, la Corte EDU dichiara le misure adottate nei confronti di G.C. non proporzionali e non adeguate rispetto all’obiettivo perseguito e le circostanze personali del soggetto, con la conseguente violazione dell’art. 8 CEDU.

Il testo completo della sentenza è disponibile nel box download.

Giulia Alessi
Pubblicato il: Giovedì, 06 Luglio 2023 - Ultima modifica: Mercoledì, 16 Agosto 2023
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