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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - A.K. v. LATVIA: diagnostica prenatale e decisione sull’interruzione volontaria di gravidanza
24 giugno 2014

La Corte di Strasburgo ha stabilito che la Lettonia ha violato l’art. 8 Cedu, nel suo profilo procedurale, a causa della mancata garanzia di una tutela effettiva del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare dinanzi alle Corti interne.

Numero
ric. n. 33011/08
Anno
2014

Il caso origina dal ricorso presentato da una donna, A.K., che si era sottoposta ai consueti esami di diagnostica prenatale nei primi mesi della propria gravidanza, in considerazione anche del fatto che aveva superato i quarant’anni di età.

Durante i controlli della diciottesima settimana di gravidanza, secondo quanto sostenuto dai medici che la visitarono, le venne consigliato un esame diagnostico per valutare eventuale malformazioni del feto. La donna sosteneva, invece, che l’indicazione dell’ulteriore accertamento fosse stata inserita nella cartella clinica in un momento successivo all’inizio del ricorso e fosse pertanto falsa. Dalla documentazione portata all’attenzione della Corte risulterebbe, infatti, che A.K. durante la gravidanza si sia sottoposta a tutte le visite e gli esami prescritti, tranne il test specifico oggetto della controversia.

La donna portò a termine la gravidanza e diede alla luce un bambino affetto dalla sindrome di Down.

A.K. decise dunque di convenire in giudizio i medici che l’avevano avuta in cura, per la responsabilità derivante dalla negligenza nell’indicarle l’opportunità di sottoporsi ad un test prenatale specifico per accertare malformazioni genetiche (fra cui la sindrome di Down), in considerazione anche dell’età della gestante. La copia della cartella clinica in possesso della paziente non riportava infatti alcuna indicazione circa la prescrizione dell’esame da sostenere alla diciottesima settimana di gravidanza. Contrariamente a ciò, la cartella clinica depositata dalla struttura sanitaria conteneva tale indicazione.

Le Corti interne rigettarono il suo ricorso, ritenendo che non vi fosse un legame causale tra la mancata effettuazione dell’esame diagnostica da parte del medico e la nascita del bambino affetto da sindrome di Down.

Nel ricorso alla Corte Edu, A.K. sostiene che la negligenza della ginecologa nel fornirle una tempestiva e appropriata assistenza medica ha determinato l’impossibilità di decidere se portare o meno a termine la gravidanza. La donna sostiene, inoltre, che attraverso un’errata interpretazione della legge nazionale sulla responsabilità sanitaria le Corti interne hanno provocato una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Cedu).

La Corte conferma l’applicabilità dell’art. 8 della Convenzione al caso di specie, affermando che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include anche la tutela della decisione di una donna sulla prosecuzione o sull’interruzione della sua gravidanza. Tuttavia, nel caso di specie, la questione centrale non riguarda la decisione della donna sulla propria gravidanza, quanto piuttosto la possibilità di avere accesso a tutte le necessarie informazioni sullo stato di salute suo e del feto: «The Court has previously found that the decision of a pregnant woman to continue her pregnancy or not belongs to the sphere of private life and autonomy and that, as a consequence, legislation regulating the interruption of pregnancy touches upon the sphere of private life (see R.R. v. Poland). However, the present case does not directly concern the applicant’s decision whether to continue or not her pregnancy but rather the questions whether the necessary information was provided to her and whether her medical care complied with domestic law. In this respect, the Court’s case-law confirms that where a complaint concerns the exercise of the right of effective access to information concerning health, it is linked to private and family life within the meaning of Article 8».

La Corte si limita alla valutazione del rispetto da parte delle autorità statali dei profili procedurali dell’art. 8 Cedu: i giudici interni avrebbero dovuto tenere in maggiore considerazione le garanzie procedurali offerte dagli strumenti di diritto interno per la tutela della posizione della donna e per meglio valutare il nesso tra l’accesso alla diagnostica prenatale e il rispetto della vita privata e familiare della donna.

«In conclusion, taking account of the matters outlined above, the domestic courts’ approach to the applicant’s claim discloses the appearance of arbitrariness. The cumulative effect of the failings identified was that the domestic courts did not properly examine the applicant’s claim that she had not received medical care and information in accordance with domestic law in a manner sufficient to ensure the protection of her interests. There has accordingly been a violation of Article 8 of the Convention in its procedural aspect».

Il testo della sentenza è disponibile nel box download.

Lucia Busatta
Pubblicato il: Martedì, 24 Giugno 2014 - Ultima modifica: Venerdì, 07 Giugno 2019
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