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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – 30 gennaio 2025 – Canavacciuolo e altri c. Italia: violazione dell’art. 2 CEDU a causa dell’inerzia delle autorità nell’attuazione delle misure per contrastare il fenomeno della c.d. Terra dei Fuochi
30 gennaio 2025

Il 30 gennaio 2025 la Corte EDU, con una sentenza pilota, ha condannato l’Italia per aver violato l’art. 2, CEDU in quanto, nonostante fosse a conoscenza dei rischi connessi alle attività illecite svolte nella c.d. Terra dei Fuochi, non ha adottato tempestivamente delle misure sufficienti ed adeguate al fine di prevenirne i danni.

Anno
2025

La pronuncia si apre con un paragrafo introduttivo in cui la Corte delinea il contesto da cui scaturisce la vicenda, ossia quello della c.d. “Terra dei Fuochi”. Quest’ultima è identificata nella zona campana che ricomprende novanta comuni tra le provincie di Napoli e Caserta in cui vivono quasi tre milioni di persone e nella quale si svolgono attività illecite di smaltimento di rifiuti, tra cui discariche abusive, incendi dolosi e seppellimento di rifiuti pericolosi (punti 9 – 101).

I ricorrenti hanno contestato la violazione, tra gli altri, dell’art. 2 della Convenzione in quanto le autorità italiane, benché fossero a conoscenza del fenomeno, non avrebbero adottato delle misure adeguate ed idonee ad evitarne le conseguenze. In particolare, avrebbero individuato i territori interessati dal fenomeno soltanto vent’anni dopo esserne venute a conoscenza, non avrebbero bonificato e monitorato sufficientemente gli stessi, esponendo gli abitanti a gravi rischi e danni per la loro salute e per la loro vita e avrebbero omesso informazioni in merito alla gravità e alla complessità del fenomeno.

La Corte dopo aver puntualmente tratteggiato il quadro giuridico e giurisprudenziale italiano, europeo e internazionale in materia ambientale e, nello specifico, con riguardo allo smaltimento dei rifiuti e a tutte le attività ad esso connesse, analizza le questioni nel merito (punti 102 – 185).

Anzitutto, sottolinea che l’art. 2, CEDU impone agli Stati un obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie per salvaguardare la vita di coloro che sono sottoposti alla sua giurisdizione e che si applica, in generale, anche alle situazioni in cui essi non abbiano subito una lesione irreparabile del bene vita, ma siano esposti ad un rischio che possa causarla (punti 375 e 376).

Al fine di poter applicare l’art.2, CEDU è necessario valutare

  1. se il rischio a cui è esposto il bene tutelato è reale ed imminente (“real and imminent” risk to life). A tal proposito precisa che, in ossequio alla giurisprudenza della Corte, si considera “reale” un rischio quando si può accertare l’esistenza di una seria, reale e sufficientemente accertabile minaccia per la vita (serious, genuine and sufficiently ascertainable threat to life). Mentre il requisito dell’imminenza si ritiene integrato dalla prossimità fisica e temporale della minaccia (physical proximity of the threat and its temporal proximity)(punto 377);
  2. se le autorità sapessero o avrebbero potuto sapere che i ricorrenti fossero esposti ad un rischio (punto 378);
  3. se lo Stato ha fatto tutto ciò che era in suo potere per evitare che il bene fosse esposto a pericolo o danneggiato (punto 379).

La Corte osserva che lo Stato italiano, come provato dai ricorrenti in giudizio, fin dall’inizio degli anni ‘90 era a conoscenza dell’esistenza del fenomeno, causato da sistematiche pratiche di seppellimento e scarico illegale di rifiuti pericolosi, della sua dannosità per il territorio e della sua potenziale nocività per gli abitanti dei territori interessati (punto 387).
Inoltre, fin dal 1996 il Parlamento aveva a disposizione dei dati relativi al costante incremento del tasso di persone affette da tumore che vivano in quelle zone e, ancorché non vi fosse alcuna prova scientifica che dimostrasse la correlazione tra tale fatto e l’inquinamento creato dalle pratiche illegali di smaltimento dei rifiuti, questo elemento ha sollevato attendibili preoccupazioni riguardo al potenziale pericolo a cui erano esposti gli abitanti (punto 388).
Pertanto, la Corte asserisce che, considerata la complessità del fenomeno, non si possa negare l’esistenza di un rischio per la vita “sufficiente grave, reale e accertabile” e anche “imminente”, data la residenza dei ricorrenti, per un periodo di tempo considerevole, nei Comuni identificati dalle autorità statali come interessati dal fenomeno (punti 390 – 392).
La Corte ha poi analizzato rigorosamente tutte le misure che lo Stato avrebbe adottato. A questo riguardo ha posto in evidenza la circostanza per cui fino al 2013, con l’adozione del decreto-legge 136/2013, lo stesso non abbia impiegato un approccio sistematico e globale idoneo ad affrontare il problema, ancorché ne fosse a conoscenza dai primi anni ’90 e che le limitate misure attuate in precedenza fossero frammentarie e non integrate e coordinate tra loro in modo da fronteggiare concretamente il fenomeno (punti 394 – 458).

Alla luce di tutto ciò ritiene che sia stato violato l’art. 2, CEDU e adottando il procedimento della c.d. “sentenza-pilota” di cui all’art. 46, CEDU ha imposto all’Italia l’obbligo di attuazione di una serie di misure individuate dalla Corte (punti 464 – 500) nel termine di due anni.

Il testo completo della sentenza è disponibile al seguente link e nel box download.

Ilaria Zanotto
Pubblicato il: Giovedì, 30 Gennaio 2025 - Ultima modifica: Venerdì, 02 Maggio 2025
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