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Procura della Repubblica di Milano - Caso Cappato e Antoniani: richiesta di archiviazione per il reato di assistenza al suicidio nei confronti di Marco Cappato
Anno 2017

Il Procuratore della Repubblica, ritenuta l’infondatezza della notizia di reato di assistenza al suicidio ex art. 580 cod. pen. per la morte di Fabiano Antoniani, chiede al Giudice per le indagini preliminari di disporre l’archiviazione del procedimento nei confronti di Marco Cappato.

La vicenda ebbe inizio nel 2014 quando in seguito alle lesioni midollari riportare a causa di un grave incidente stradale Fabiano Antoniani si trovò a vivere in una situazione di paralisi totale e di cecità. Nonostante i diversi trattamenti, anche sperimentali, le cure non raggiunsero nessuno dei risultati sperati né in termini di guarigione né di miglioramento delle sue condizioni di vita. La prognosi irreversibile indicava dunque che il sig. Antoniani sarebbe rimasto cieco e paralizzato, seppur in possesso delle piene facoltà mentali. Fu proprio in seguito al raggiungimento di questa consapevolezza che Antoniani maturò la decisione di mettere fine a una vita che concepiva, per sua stessa testimonianza, come una prigione.

In quel momento Antoniani si mise in contatto con Marco Cappato, che già in precedenza si era occupato di casi simili, per avere informazioni riguardo le possibilità previste dall’ordinamento italiano e in altri Stati europei. Grazie al suo aiuto conobbe l’associazione elvetica Dignitas autorizzata dalla normativa svizzera all’accompagnamento alla morte volontaria. Infatti nella Confederazione Elvetica l’istigazione e l’aiuto al suicidio sono illeciti puniti dal codice penale svizzero (art. 115 del codice penale svizzero) se caratterizzati dalla presenza di motivi c.d. egoistici  (ricomprendenti non solo l’avidità di guadagno ma anche il soddisfacimento di bisogni emotivi), dunque affinchè l’aiuto al suicidio sia considerato legale l’interessato deve avere il pieno controllo degli eventi così da per poter decidere in maniera autonoma e volontaria in merito alla sua vita fino all’ultimo atto materiale.

Nel caso di specie il Procuratore considera l’operato dell’Associazione conforme all’ordinamento svizzero dal momento che, sulla base delle evidenze raccolte, la scelta di Fabiano Antoniani si configura come assolutamente volontaria e le procedure di accompagnamento alla morte volontaria sono state rispettate. Marco Cappato viene iscritto nel registro degli indagati perché la sua condotta rientra secondo l’ordinamento giuridico italiano tra le condotte di partecipazione materiale o fisica al suicidio punite ex art. 580 c.p.; mentre è esclusa la partecipazione morale o psichica in quanto l’indagato non risulta aver influito sul processo di formazione della volontà suicida dell’Antoniani. Il Procuratore esclude inoltre l’integrazione del reato di omicidio del consenziente ex art. 579 c.p., dal momento che  «se il discrimen tra aiuto al suicidio e omicidio del consenziente è dato dal c.d. dominio sull’azione esecutiva, che nel primo caso rimane nelle mani del suicida laddove nel secondo si trasferisce, almeno parzialmente, in capo a soggetto diverso, è certo che nel momento decisivo l’atto finale con cui è stata iniettata nelle vene di Fabiano Antoniani la sostanza letale che ne ha determinato il decesso è stato compiuto da quest’ultimo in modo totalmente autonomo».

Data l’ampiezza del concetto di agevolazione materiale della condotta di assistenza al suicidio, il Procuratore della Repubblica analizza rigorosamente la connessione causale tra la condotta dell’indagato e la morte del sig. Antoniani. Nel caso in questione è stata applicata un’interpretazione restrittiva della condotta di agevolazione materiale «più conforme a criteri interpretativi costituzionalmente orientati anche al fine di evitare la criminalizzazione di condotte che solo marginalmente ledono il bene giuridico protetto dalla norma».

Dunque è oggetto di rimprovero penale «solo la condotta di chi abbia agevolato in senso stretto la fase esecutiva del suicidio, fornendo i mezzi o partecipando all’esecuzione dello stesso». Dal momento che le condotte poste in essere da Marco Cappato sono l’accompagnamento del sign. Antoniani alla clinica Dignitas e l’assistenza alla prove atte a verificare la sussistenza di una capacità motoria sufficiente per l’autosomministrazione della sostanza letale, non è possibile configurare l’integrazione del concetto di agevolazione materiale come tipizzato dall’art. 580. L’evento lesivo, cioè il suicidio, non è in alcun modo la conseguenza diretta della condotta di accompagnamento del soggetto agente, tanto più che l’indagato non ha avuto alcun ruolo materiale nella fase esecutiva vera e propria che ha portato alla morte del sign. Antoniani.

Come espressamente detto dal Procuratore «la condotta del Cappato in sé considerata verrebbe, pertanto, configurata tra gli atti preparatori penalmente irrilevanti senza integrare il reato di cui all’art. 580 c.p.». Per questi motivi viene chiesta al Giudice per le indagini preliminari l’archiviazione del procedimento nei confronti di Marco Cappato.

A conclusione della sentenza il Procuratore riflette sul tema del diritto del fine-vita dedicandosi all’analisi del suicidio assistito e dell’art. 580 c.p. nel panorama costituzionale e convenzionale. Secondo le parole del Procuratore la vicenda di Fabiano Antoniani non è riconducibile alla tematica della rinuncia alle cure ma a quella degli atti direttamente dispositivi della vita da parte del suo titolare La questione dunque riguarda la configurabilità o meno di un c.d. diritto al suicidio o meglio di un diritto al rispetto della dignità umana.

Il Procuratore ha dovuto valutare se l’applicazione dell’art. 580 c.p. alla condotta di Marco Cappato costituisse una lesione del diritto fondamentale al rispetto della dignità umana di Fabiano Antoniani. Le scelte tra cui Fabiano Antoniani poteva legittimamente optare secondo l’ordinamento italiano erano di continuare a vivere una vita da lui ritenuta insopportabile oppure optare per l’interruzione dei trattamenti che lo avrebbero portato alla morte solamente dopo una lunga agonia, ma entrambe avrebbero costituito una lesione del diritto all’autodeterminazione e al rispetto della dignità. Il Procuratore ha dichiarato che in determinate circostanze il proseguimento della vita può essere percepito come inumano, indegno e doloroso e che in queste situazioni l’ordinamento riconosce il diritto a rinunciare ai trattamenti terapeutici c.d. salvavita. Infatti, come ha affermato il Procuratore, «il principio del rispetto della dignità umana impone l’attribuzione a Fabiano Antoniani, ed in conseguenza a tutti gli individui che si trovano nelle medesime condizioni, di un vero e proprio “diritto al suicidio”» che può essere attuato in via diretta attraverso la rinuncia alle cure oppure in via indiretta mediante l’assunzione di farmaci letali allo scopo suicidario.

Il Procuratore in conclusione auspica un intervento del legislatore in modo da disciplinare rigorosamente le pratiche di suicidio assistito ed evitare abusi.

Nel box download il testo dell'ordinanza con cui il GIP rigetta la richiesta di archiviazione.

Elena Scalcon
Pubblicato il: Martedì, 02 Maggio 2017 - Ultima modifica: Mercoledì, 10 Giugno 2020
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