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US Supreme Court - Cruzan v. Director, Missouri Department of Health, (88-1503): incapacità e rifiuto dei trattamenti
25 giugno 1990

La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, a fronte delle richieste dei tutori di una ragazza posta in condizione di “stato vegetativo permanente” (ovvero in condizione clinica di non consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, e pertanto giuridicamente incapace di assumere le decisioni che la riguardassero, comprese quelle relative al suo stato di salute) di interrompere l’idratazione e l’alimentazione artificiali somministrate alla stessa, sulla base della sua presunta volontà di rifiuto ai trattamenti, ha respinto il ricorso, ritenendo che, in mancanza di una prova chiara, completa e convincente della rispondenza alla volontà effettiva del soggetto incapace, non sia ammissibile alcun giudizio sostitutivo (substituted judgement) dei tutori.

Numero
497 U.S. 261
Anno
1990

La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, chiamata in causa dai tutori di Cruzan, al fine di rovesciare il dettato della sentenza della Corte Suprema del Missouri (16/11/1988) che aveva inquadrato il caso nella dottrina dell’informed consent, esigendo prove consistenti che un soggetto non avrebbe voluto essere curato in certe condizioni e ritenendo insufficiente la semplice dichiarazione fatta ad un familiare “di non voler sopravvivere come un vegetale” per determinare la reale intenzione del paziente, si trova a confermare e accogliere la decisione del giudice statale.

Il massimo giudice federale, infatti, conferma l’impostazione del caso nell’ambito del consenso più che del diritto alla privacy, sostenendo che, se da una parte, uno Stato può correttamente astenersi da valutazioni sulla «qualità della vita» di un paziente, dall’altra, esso riconosce un unqualified interest nel tutelare a tutti i costi la vita umana. Il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari (anche life sustaining) è ammesso e va anzi tutelato sulla base del XIV emendamento (che protegge il liberty interest dell’individuo escludendo che una persona possa essere privata della vita e della libertà senza un due process of law): la scelta sull’esprimere o rifiutare il consenso a un trattamento è, dunque, fondata sulla libertà di autodeterminazione del soggetto ed è deeply personal. Nel caso degli incapaci, però, di fronte all’eventuale intervento di surrogate decision makers, tale personalità della scelta va salvaguardata in modo ancora più significativo, imponendo elevati standard di prova della volontà del paziente: ciò porta allora ad affermare che, in mancanza di un quadro probatorio solido circa la volontà del paziente, non sia possibile dare luogo ad un giudizio sostitutivo dei tutori.

Il diritto al rifiuto delle cure (perfino quelle di sostegno vitale) è, dunque, ricondotto nel solco della effettiva volontà del paziente che, in assenza di direttive anticipate di trattamento sanitario, può essere ricostruita dai tutori, purché essi rispettino l’effettiva volontà del paziente e diano prova dell’autenticità delle sue opinioni.

Cliccare qui per il testo completo della sentenza.

Ilaria Anna Colussi
Pubblicato il: Lunedì, 25 Giugno 1990 - Ultima modifica: Mercoledì, 29 Maggio 2019
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