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US - NY Court of Appeals - Myers v. Schneiderman: esclusa l’esistenza di un diritto all’assistenza medica al suicidio
7 settembre 2017

Nonostante lo Stato di New York abbia ampiamente riconosciuto al paziente il diritto di rifiutare trattamenti sanitari, la Court of Appeals ritiene che non esista un diritto fondamentale costituzionalmente protetto al suicidio assistito e sottolinea l’interesse legittimo dello Stato a criminalizzare tali procedure.

Numero
2017 NY Slip Op 06412
Anno
2017

Gli attori, tre malati terminali, chiedevano il riconoscimento del diritto al suicidio assistito, in modo che un paziente, malato terminale, che sia mentalmente capace, possa ottenere la somministrazione da parte del medico di un farmaco che causi la morte. Chiedevano inoltre che fosse riconosciuto che un medico, che fornisce aiuto al suicidio in tal modo, non sia penalmente perseguibile.

Il Procuratore Generale aveva respinto la loro richiesta. Nella sua sentenza, la Appellate Division aveva dichiarato che la disciplina del suicidio assistito non si pone in contrasto con la Costituzione ed anzi fornisce una solida base per perseguire penalmente i medici che intervengono in tal senso.

Gli attori, appellandosi alla Corte di ultima istanza, sostengono che si sia data una scorretta interpretazione alla legge, dalla quale deriverebbe una violazione del diritto a una uguale tutela e dei principi del giusto processo, riconosciuti dalla Costituzione dello Stato. In particolare, gli attori affermano che criminalizzare il suicidio assistito comporterebbe una illegittima disparità di trattamento dei malati terminali, tra coloro che possono decidere di morire rifiutando i trattamenti medici indispensabili a mantenerli in vita e coloro che non possono. La Corte, richiamandosi e allineandosi a una precedente pronuncia della Supreme Court (Vacco v Quill), sottolinea come tutti i malati abbiano il diritto di rifiutare un determinato trattamento sanitario, ma nessuno abbia il diritto di ricorrere al suicidio assistito.

Gli attori sostengono che il diritto fondamentale all’autodeterminazione ricomprende il diritto di scegliere di morire. La Corte non è d’accordo e sostiene che non esiste alcun diritto fondamentale al suicidio assistito, mantenendo sempre salda la distinzione tra il diritto dell’individuo di rifiutare trattamenti sanitari di sostegno vitale e il diritto al suicidio assistito.

Il diritto di rifiutare un determinato trattamento medico, senza il quale il paziente può incorrere nella morte è strettamente correlato al rispetto del diritto alla propria integrità fisica. Nel caso di un malato terminale, rifiutare trattamenti sanitari significa rifiutare cure mediche necessarie alla sua sopravvivenza e che dovrebbero ritardare la morte. Il suicidio assistito, al contrario, prevede un intervento attivo del medico che somministra una sostanza letale con lo scopo di causare direttamente la morte del paziente.

Infine la Corte ricorda che lo Stato persegue l’obiettivo di evitare il rischio di errori e abusi e ha l’interesse di preservare la vita dei cittadini cercando di porre un freno all’elevato numero di suicidi.

Alla luce di questi motivi la Corte di ultima istanza conferma la legittimità della criminalizzazione del suicidio assistito e ribadisce quanto affermato dalla corte di grado inferiore: gli attori non hanno alcun diritto costituzionale di ricorrere al suicidio assistito.

Nel box download il testo della sentenza.

Veronica Lorenzato
Pubblicato il: Giovedì, 07 Settembre 2017 - Ultima modifica: Martedì, 25 Giugno 2019
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