Il 10 luglio 2025 la Grand Chambre della Corte europea dei diritti umani si è pronunciata sul caso Semenya v. Svizzera, concludendo per la violazione dell’art. 6, diritto a un giusto processo, rigettando le questioni relative al divieto di non discriminazione e al rispetto della vita privata e personale.
Corte Europea dei diritti dell'Uomo- 10 luglio 2025- Semenya c. Svizzera: requisiti per la partecipazione alle competizioni internazionali di atlete con caratteristiche intersex
10 luglio 2025
La decisione rappresenta l’esito di una lunga vicenda giudiziale che aveva visto l’atleta sudafricana Semenya contestare i regolamenti con i quali la World Athletics imponeva di ridurre il proprio livello naturale di testosterone al fine di partecipare alle competizioni internazionali femminili di atletica. Le istanze di Semenya erano state rigettate all’interno del sistema di giustizia sportiva, sia in primo grado dal Tribunale Arbitrale dello Sport, che in secondo grado dal Tribunale Federale Svizzero. A luglio del 2023 la Corte EDU aveva invece accolto le doglianze di Semenya, accertando una violazione dell’art. 8, dell’art. 14 e dell’art. 13 della Convenzione (qui un commento della sentenza)
Nella decisione della Grande Camera si esclude la violazione dei sopra menzionati parametri sulla base del principio di competenza. Secondo la Corte, infatti, la vicenda Semenya non soddisfa il criterio di territorialità:i fatti accaduti che avrebbero determinato la potenziale violazione degli artt. 8, 13 e 14 della CEDU non hanno avuto luogo sul territorio della Svizzera, escludendo quindi la possibilità che le/i giudici si pronunciassero sugli stessi.
La vicenda rientra invece, in via eccezionale, all’interno della giurisdizione svizzera nel momento del ricorso in secondo grado successivo alla decisione del TAS, che vede Semenya comparire davanti al Tribunale Federale Svizzero e pertanto soggetta al rispetto delle garanzie procedurali stabilite all’art. 6 della CEDU, diritto a un giusto processo.
Al riguardo, la Corte ha osservato che il Tribunale Federale Svizzero sarebbe stato tenuto a un rigoroso accertamento al fine di garantire il rispetto della Convenzione, in connessione alle particolari circostanze del caso e al peculiare funzionamento della giustizia sportiva.
La Corte osservava infatti che, all’interno del sistema sportivo, l’arbitrato è imposto alle atlete in un contesto di squilibrio ai danni delle stesse, che non hanno alternative per tutelare i propri diritti di fronte a scelte unilaterali della governance sportiva. Le garanzie procedurali, in casi in cui vengono in rilievo diritti fondamentali, appaiono fondamentali. In virtù di questo, il Tribunale svizzero avrebbe dovuto condurre un esame particolarmente rigoroso del caso, rigore che è mancato, avendo la Corte scelto di non entrare nel merito, limitandosi a verificare la compatibilità della decisione con una nozione ristretta di ordine pubblico sostanziale.
L’esame del Tribunale non aveva preso in considerazione la debolezza delle argomentazioni del TAS rispetto alla proporzionalità dei regolamenti, come il rischio potenziale di violazione dei diritti umani già menzionati nella prima sentenza, con particolare riguardo all’arbitrarietà dei regolamenti e alla possibilità che fossero rese pubbliche informazioni mediche riservate delle atlete.
Per tali motivi, dunque, la Corte ha concluso che l’esame del caso da parte del Tribunale Federale non ha soddisfatto il requisito di particolare rigore richiesto nelle circostanze del caso, violando l’art. 6 della Convenzione.
In allegato il testo della sentenza.