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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Z v. Polonia: responsabilità medica
13 novembre 2012

La quarta sezione della Corte Edu ha rigettato all'unanimità il ricorso di Z per la violazione, da parte della Polonia, degli articoli 2, 8 e 14 della CEDU, a causa della morte della figlia Y dovuta al comportamento negligente del personale medico che l'aveva in cura.

Numero
ric. n. 46132/08
Anno
2012

Y, la figlia del ricorrente Z, incinta di quattro settimane, era affetta da colite ulcerosa e, tra maggio e settembre del 2004, accompagnata dalla madre, era stata visitata in numerosi ospedali in tutta la Polonia, dove era stata sottoposta a esami diagnostici e le erano stati somministrati anche medicinali, tra cui steroidi e antibiotici. Le era inoltre stato diagnosticato un ascesso per la rimozione del quale aveva subito un intervento chirurgico nel mese di luglio. Un mese dopo le veniva diagnosticato un nuovo ascesso per il quale veniva tempestivamente operata; il medico che l'aveva in cura si rifiutò di svolgere un esame endoscopico o una risonanza magnetica dell'addome. In settembre, in seguito ad un ulteriore aggravamento delle sue condizioni cliniche, la donna venne sottoposta ad un intervento di appendicectomia, dopo il quale venne ricoverata nel reparto di terapia intensiva. A distanza di pochi giorni si rese necessario un intervento per rimuovere il feto ormai morto e, in seguito, un altro per l'isterectomia. La donna morì a causa di uno shock settico causato dalla sepsi.

La famiglia negò l'autorizzazione all'autopsia di Y.

L'avvocato della famiglia chiese l'apertura di un'indagine sulle circostanze che portarono alla morte della donna. Contestualmente, il Ministero della Salute istituì un comitato di esperti per indagare sulla morte di Y; le conclusioni delle indagini di tale comitato addebitarono la morte alla sepsi e segnalarono la mancata esecuzione di tutti i test diagnostici necessari per la paziente.

Sulla violazione dell'art. 2 CEDU:

La ricorrente lamenta la carenza di adeguati trattamenti sanitari da parte dei medici che avevano in cura Y e il fatto che le insufficienti indagini condotte hanno impedito di giungere all'individuazione delle responsabilità per la morte della donna; inoltre, la mancanza, in Polonia, di un quadro normativo adeguato a contemperare l'obiezione di coscienza con il diritto ad avere accesso a cure adeguate ed effettive da parte della paziente viola, secondo la ricorrente, la Convenzione.

La Corte, dopo aver ribadito che la tutela del diritto alla vita prevista dalla CEDU, nel campo della negligenza medica, impone un'obbligazione positiva in capo agli Stati ad istituire un sistema giudiziario tale da permettere di indagare le cause delle morti dei pazienti e che tale obbligazione è puramente di mezzi e non di risultato, dichiara che un immediato esame delle circostanze in casi del genere è fondamentale per garantire la sicurezza di tutti gli utenti dei servizi sanitari.

Nel caso di specie, la Corte esclude la violazione dell'art. 2 ritenendo che le autorità avessero agito con la diligenza richiesta dalla Convenzione: «The Court considers that the investigation succeeded in elucidating the circumstances which were relevant to the issue of determining any responsibility on the part of the medical personnel for the death of the applicant’s daughter. It does not find any grounds to contest the findings of the investigation. Further, the results of the investigation cannot be undermined by the fact that, as submitted by the applicant, six different prosecutors were consecutively in charge of it. In this respect, the Court accepts the Government’s argument that changes were inevitable as there were some issues of jurisdiction […]. The Court accepts that the medical questions involved in the case were of great complexity and required thorough analysis. Consequently, in the context of the present case, the period of two years and four months during which the case remained stayed does not seem substantial».

Con riguardo alla mancanza di un quadro normativo adeguato, in particolare con riferimento alle disposizioni sull'obiezione di coscienza, mancano – secondo la Corte – le motivazioni a sostegno della violazione della Convenzione; anche questa parte del ricorso viene rigettata perché infondata.

Sulla violazione dell'art. 8 CEDU:

La ricorrente lamentava che l'impossibilità di accedere alle cartelle cliniche della figlia e la mancanza di adeguate informazioni sulla diagnosi e sulle possibilità terapeutiche costituivano una violazione dell'art. 8 CEDU.

La Corte rileva che Z avrebbe avuto la possibilità di accedere alle cartelle cliniche di Y attraverso le indagini penali che, su richiesta dell'avvocato della famiglia, erano state intraprese dalle autorità. Per tale ragione, anche se astrattamente il diritto all'accesso ai documenti clinici della figlia deceduta rientra nella tutela prevista dall'art. 8 della Convenzione, in questo caso non è possibile riscontrare una violazione da parte della Polonia.

Sulla violazione dell'art. 14 CEDU

La ricorrente sosteneva che le inadeguate cure ricevute e la mancata tempestiva diagnosi della malattia della figlia erano dovute ad una discriminazione basata sullo stato di gravidanza di Y. La Corte afferma che «there is no convincing evidence which would indicate that Y was deliberately refused proper medical treatment on the ground of her pregnancy».

-LB-

Pubblicato il: Martedì, 13 Novembre 2012 - Ultima modifica: Lunedì, 03 Giugno 2019
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