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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Rooman v. Belgio: violazione dell’art. 3 per mancanza di cure adeguate ai malati di mente durante la detenzione
18 luglio 2017

Nel caso Rooman v. Belgio (Application no. 18052/11) la Corte EDU ha condannato il Belgio per violazione dell'articolo 3 della CEDU. La causa aveva a oggetto la mancata fornitura di cure adeguate ad un detenuto che era affetto da una malattia mentale e l'inadeguata formazione del personale penitenziario.

Numero
ric. n. 18052/11
Anno
2017

Il caso riguardava René Rooman, un cittadino belga e tedesco, condannato per furto e violenza sessuale nel 1997. Durante il periodo trascorso in detenzione, il ricorrente aveva commesso nuovi reati per i quali era stato condannato nuovamente. In base a una perizia psichiatrica era stato deciso che la detenzione dovesse proseguire in un istituto psichiatrico. Nel gennaio 2004, la Commision de défense sociale (CDS) del carcere di Lantin aveva condannato il ricorrente a scontare la pena nella struttura di protezione sociale di Paifve (cd. EDS) che si trova nella regione belga di madrelingua francese. Il CDS aveva precisato che dovesse essere garantita al signor Rooman la terapia in lingua tedesca poiché era l’unica lingua che parlava e comprendeva. La struttura di Paifve non era però in grado di provvedere alle cure terapeutiche richieste dagli esperti consultati poiché non vi erano dottori, terapisti, psicologi, assistenti sociali, agenti penitenziari che sapessero parlare tedesco.

In seguito alla presentazione della richiesta di affidamento in prova da parte del ricorrente, il CDS aveva raccomandato nel gennaio 2006 di trovare una casa di cura che potesse ospitarlo e procurargli una terapia in lingua tedesca. Nel gennaio 2007 il CDS aveva respinto una seconda richiesta di affidamento avanzata dal detenuto, dato che non vi era alcuna casa di cura che potesse soddisfare i requisiti di sicurezza e lingua richiesti per il caso specifico. Nel frattempo, il CDS aveva incaricato le autorità regionali di cercare un servizio che potesse fornire assistenza residenziale e terapeutica nella lingua madre del detenuto.

Nell’aprile del 2010 il richiedente aveva fatto istanza alla Commisione supérieure de defense sociale (CSDS) che aveva confermato la decisione del CDS.

Nel 2013, il CDS aveva respinto la richiesta di affidamento del signor Rooman per la terza volta, sostenendo che non erano soddisfatti i requisiti per un miglioramento del suo stato mentale e le garanzie per la sua riabilitazione sociale. Nel 2014 il CSDS aveva incaricato la struttura di Paifve di adottare tutte le misure necessarie affinché i servizi psichiatrici fossero forniti in tedesco. Nello stesso anno il detenuto aveva avviato un procedimento giudiziario contro il Belgio chiedendo anche il risarcimento del danno subito per la mancanza di cure. 

In seguito al ricorso presentato dal signor Rooman, la Corte EDU si è pronunciata sul caso, sostenendo che il mancato riconoscimento da parte dello Stato belga di cure terapeutiche che dovevano essere fornite al detenuto affetto da patologia psichiatrica violasse l'art. 3 della CEDU. Dalla sua incarcerazione a Paifve nel gennaio 2004, il richiedente non ha tratto alcun beneficio dal trattamento terapeutico per i suoi problemi di salute mentale a causa della barriera linguistica che gli rendeva impossibile la comunicazione con il personale medico. Inoltre, dal 2006, il CDS ha richiesto un trattamento terapeutico fornito in tedesco all’esterno della struttura di Paifve. I rapporti del CDS e dei professionisti che hanno incontrato il signor Rooman dimostrano che il trattamento terapeutico era incompatibile con l'unica lingua compresa e parlata dal richiedente. La mancanza di progressi del signor Rooman è il risultato di questa assenza di cura. Prendendo atto del fatto che il tedesco è una delle tre lingue ufficiali del Belgio (oltre a quella olandese e francese), la Corte sostiene che le autorità non hanno garantito un trattamento adeguato per lo stato di salute del richiedente, sottoponendolo a un'angoscia d’intensità superiore all'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione, violando così l’art. 3 CEDU. 

La Corte, invece, non ha riscontrato una violazione dell'articolo 5 CEDU (il diritto alla libertà) a causa della connessione presente fra la ragione di reclusione del richiedente e la sua malattia mentale. L'assenza di cure appropriate non ha spezzato questa connessione e non ha reso illegale la sua privazione della libertà.

Il testo completo della decisione è disponibile nel box download.

Alice Girardini
Pubblicato il: Martedì, 18 Luglio 2017 - Ultima modifica: Venerdì, 28 Giugno 2019
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