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Canada - Supreme Court - Rodriguez v. British Columbia (Attorney General): suicidio assistito
30 settembre 1993

Il 30 settembre 1993, con una decisione adottata 5 voti a 4, la Corte Suprema Canadese ha confermato la costituzionalità dell'articolo del codice penale che punisce il reato di suicidio assistito. Il caso ha origine dal ricorso presentato dall'allora quarantaduenne Sue Rodriguez, affetta da una forma di SLA, contro l'articolo 241(b) del codice penale per violazione di alcuni dei diritti fondamentali garantiti dalla Canadian Charter of Rights and Freedoms.

Numero
3 SCR 519
Anno
1993

La ricorrente, una quarantaduenne affetta da SLA e con un'aspettativa di vita tra i due e i quattordici mesi, chiedeva che un medico fosse autorizzato a predisporre i mezzi necessari affinché lei potesse – una volta incapace di godere appieno della vita – interrompere da sé la propria esistenza. Oggetto del giudizio è l'articolo 241(b) del codice penale, che prevede una pena non inferiore a quattordici anni di reclusione per chi commetta il reato di assistenza al suicidio e che, ad avviso di Sue Rodriguez, violerebbe alcuni dei diritti fondamentali garantiti dagli artt. 7, 12, e 15 della Carta canadese, impedendo ai pazienti allo stadio terminale di compiere un suicidio medicalmente assistito.

Quanto alla violazione dell'art. 7 (right to life, liberty and security of the person) della Carta, la Corte ritiene che tali interessi non possano essere scissi dal valore della sacralità della vita: in questi termini, anche nelle fasi finali dell'esistenza, cercando di controllare il modo e il tempo della morte, si manifesta una preferenza cosciente per quest'ultima rispetto alla vita. La tutela della sicurezza della persona coinvolge valori quali la dignità umana, l'autodeterminazione, la libertà di scelta e il controllo sulla propria integrità psico-fisica, che vengono protetti anche da interferenze da parte dello Stato. Il divieto previsto dall'art. 241(b) del codice penale è pertanto un'interferenza compatibile con il sistema di tutela dei diritti fondamentali.

L'espressione principles of fundamental justice contenuta nell'art. 7 della Carta implica un certo livello di consenso della collettività sul valore vitale e fondamentale di tali principi rispetto al concetto di giustizia. Al fine di individuare la nozione di giustizia sottesa ad un determinato caso, sono d'ausilio il common law e la ricostruzione del quadro normativo relativo al reato in questione e, in modo particolare, la sua ratio. A ciò è da aggiungere la valutazione dell'interesse statale. Il principio di fundamental justice richiede un bilanciamento tra l'interesse statale e le situazioni individuali. Il rispetto della dignità umana, pur essendo uno dei principi basilari della società canadese, non rientra nell'art. 7 della Carta.

L'assistenza al suicidio, già illegittima per il common law, è stata vietata anche a livello normativo già con l'adozione del primo codice penale canadese; tale proibizione persegue l'obiettivo statale di proteggere gli individui vulnerabili e la loro vita e riflette la volontà statale di tutelare il valore dell'esistenza umana, parte della nozione fondamentale di sacralità della vita. Inoltre, il divieto generalizzato di assistenza al suicidio, simile a quello contenuto nell'art. 241(b), risulta essere la soluzione adottata anche nelle democrazie occidentali, nelle quali – all'epoca della decisione – non era mai stata dichiarata l'incostituzionalità di tale disposizione per violazione dei diritti fondamentali. Gli ordinamenti della Western legal tradition, fra cui il Canada, riconoscono e applicano il principio di sacralità della vita, tranne in alcune limitate eccezioni in cui prevalgono il principio di autodeterminazione e la tutela della dignità umana. «This prohibition is supported, in part, on the basis that allowing the state to kill will cheapen the value of human life and thus the state will serve in a sense as a role model for individuals in society. The prohibition against assisted suicide serves a similar purpose. In upholding the respect for life, it may discourage those who consider that life is unbearable at a particular moment, or who perceive themselves to be a burden upon others, from committing suicide. To permit a physician to lawfully participate in taking life would send a signal that there are circumstances in which the state approves of suicide. Given the concerns about abuse that have been expressed and the great difficulty in creating appropriate safeguards to prevent these, it can not be said that the blanket prohibition on assisted suicide is arbitrary or unfair, or that it is not reflective of fundamental values at play in our society. I am thus unable to find that any principle of fundamental justice is violated by s. 241(b)».

La disposizione impugnata non viola neppure l'art. 12 (prohibition of cruel and unusual treatment or punishment) della Carta canadese. Affinché sia configurabile una violazione di tale disposizione, infatti, vi deve essere un ruolo più attivo dello Stato, che includa un controllo sull'individuo, che non viene rilevato nel caso di specie. «For the purposes of the present analysis, I am prepared to assume that "treatment" within the meaning of s. 12 may include that imposed by the state in contexts other than that of a penal or quasi-penal nature. However, it is my view that a mere prohibition by the state on certain action, without more, cannot constitute "treatment" under s. 12. By this I should not be taken as deciding that only positive state actions can be considered to be treatment under s. 12; there may well be situations in which a prohibition on certain types of actions may be "treatment" […] The fact that, because of the personal situation in which she finds herself, a particular prohibition impacts upon her in a manner which causes her suffering does not subject her to "treatment" at the hands of the state. […] There must be some more active state process in operation, involving an exercise of state control over the individual, in order for the state action in question, whether it be positive action, inaction or prohibition, to constitute "treatment" under s. 12. In my view, to hold that the criminal prohibition in s. 241(b), without the appellant being in any way subject to the state administrative or justice system, falls within the bounds of s. 12 stretches the ordinary meaning of being "subjected to ... treatment" by the state. For these reasons, in my view s. 241(b) does not violate s. 12».

Quanto, invece, alla supposta violazione dell'art. 15 (equality rights) della Carta, la Corte ritiene che l'art. 241(b) del codice penale rientri fra le giustificazioni previste dall'art. 1 della Carta, poiché persegue in modo proporzionato un obiettivo legislativo pressante e sostanziale. Il bilanciamento tra i vari interessi in gioco è stato operato in modo ragionevole dal legislatore: «In light of the significant support for the type of legislation under attack in this case and the contentious and complex nature of the issues, I find that the government had a reasonable basis for concluding that it had complied with the requirement of minimum impairment. This satisfies this branch of the proportionality test and it is not the proper function of this Court to speculate as to whether other alternatives available to Parliament might have been preferable.It follows from the above that I am satisfied that the final aspect of the proportionality test, balance between the restriction and the government objective, is also met. I conclude, therefore, that any infringement of s. 15 is clearly justified under s. 1 of the Charter».

Lucia Busatta
Pubblicato il: Giovedì, 30 Settembre 1993 - Ultima modifica: Martedì, 11 Giugno 2019
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