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Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Haas v. Svizzera: fine vita
20 gennaio 2011

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in un caso riguardante le doglianze di un cittadino svizzero affetto da una grave psicopatia bipolare che, non riuscendo ad ottenere da alcun medico la necessaria prescrizione medica per una dose letale di farmaco (pentobarbitale sodico) alla scopo di porre fine in maniera dignitosa alla propria vita, lamentava l’inerzia dello Stato svizzero nell’adoperarsi per rendere possibile al ricorrente il compimento di un suicidio dignitoso (ric. n. 31322/07), ha respinto all’unanimità il ricorso, ritenendo che la Svizzera non violi l’art. 8 CEDU prevedendo la ricetta medica come condizione per ottenere la sostanza letale: questa previsione costituisce, infatti, una misura legittima volta a salvaguardare il diritto alla vita (art. 2 CEDU).

Numero
ric. n. 31322/07
Anno
2011

Nel box download il .pdf della decisione della Corte (fonte: HUDOC ).

Pur riprendendo gli argomenti già adottati nella sentenza Pretty, la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso Haas tiene in considerazione l’evoluzione dei costumi e il contesto normativo del tutto diverso rispetto al 2002.

Ernst Haas, affetto da sindrome affettiva bipolare, aveva tentato più volte di suicidarsi, ma aveva ricevuto ripetuti rifiuti dagli psichiatri ai quali si era rivolto per ottenere la prescrizione di pentobarbitale sodico; inoltre, si era visto respingere numerosi ricorsi proposti in sede amministrativa, in quanto non era ritenuto tale da trovarsi in condizioni di urgenza, che potessero giustificare il rilascio del farmaco senza prescrizione medica. A fronte di questa situazione, allora, Haas si rivolge alla Corte di Strasburgo, eccependo che l’impossibilità di trovare uno specialista disposto a effettuare la perizia psichiatrica ha reso il suo diritto di autodeterminazione del tutto illusorio e contestando la mancanza di giustificazioni di sanità pubblica nella norma che richiede la prescrizione medica per il rilascio del pentobarbitale.

La Corte riprende e accentua la ratio del caso Pretty per affermare che “il diritto di un individuo di decidere quando e in che modo porre fine la propria vita, a condizione che egli sia in condizione di orientare liberamente la propria volontà a tal fine e di agire di conseguenza, è uno degli aspetti del diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8 della Convenzione” (§ 51).

Dopo aver riconosciuto che il diritto dell'individuo di decidere tempi e modi della propria morte, posto che tale decisione sia presa consciamente e liberamente e possa essere posta in atto in modo autonomo, costituisce uno degli aspetti del diritto alla vita privata e familiare protetto dall'art. 8, il collegio opera una distinzione tra il caso Haas e il caso Pretty, sottolineando, in punto di fatto, che Pretty era affetta da una malattia degenerativa incurabile e necessitava di un intervento esterno per potersi suicidare, contrariamente ad Haas che – come sostenuto dal Governo svizzero – può materialmente uccidersi manu propria. Mentre, poi, nella precedente vicenda l’oggetto della decisione riguardava l’istanza di sottrarre all’area del penalmente rilevante la condotta di chi avesse prestato ausilio all’aspirante suicida, nella fattispecie in esame l’interrogativo centrale è formulato nei seguenti termini: esiste l’obbligo positivo per lo Stato, derivante dall’art. 8, di assumere le misure necessarie a permettere un suicidio dignitoso?

La Corte di Strasburgo premette che la Convenzione va letta “comme un tout” (§ 54): l’art. 8, cioè, va bilanciato e letto congiuntamente all’art. 2 CEDU, dal quale si fa discendere l’obbligo in capo a ciascuno Stato membro di impedire che una persona sottoposta alla sua giurisdizione ponga fine alla propria vita, se la sua decisione non è libera e consapevole. Pertanto, da un lato l’art. 8 riconosce il diritto all’autodeterminazione, dall’altro l’art. 2 impone che tale scelta sia sorretta da una volontà libera e consapevole.

Nel valutare la legislazione svizzera i giudici ritengono che il regime di autorizzazione medica previsto per la concessione della sostanza in questione risponda pienamente alle condizioni richieste dall’art. 8 § 2 CEDU. Posto, infatti, che la legislazione svizzera non vieta l’aiuto al suicidio, se non per fini egoistici (ex art. 115 codice penale) ed è assai più permissiva di quella della gran parte degli altri Stati, è una scelta proporzionata quella di concedere tale facoltà anche ai malati psichici, purché siano correttamente espletate alcune verifiche, quali una perizia psichiatrica completa e approfondita, al fine di distinguere tra la volontà di porre fine alla propria vita come espressione di un disturbo patologico e la volontà di suicidarsi come scelta libera e autonoma.

In conclusione, anche a voler supporre che gli Stati abbiano un obbligo positivo di adottare le misure idonee a facilitare un suicidio dignitoso, le autorità svizzere non hanno violato tale obbligo nel caso di specie, “muovendosi” correttamente nei confini del margine di apprezzamento loro concesso in materia di aiuto al suicidio.

Ilaria Anna Colussi
Pubblicato il: Giovedì, 20 Gennaio 2011 - Ultima modifica: Venerdì, 28 Giugno 2019
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